| Oltre il mito dell'Inquisizione. I Parte
di Brian Van Hove S.I.
[Da "La Civiltà Cattolica" 1992, IV, quad. 3419, pp. 458-467]
Per molto tempo i protestanti inglesi vecchio stampo e altri anticattolici nelle loro polemiche hanno messo l’accento su parole quali «gesuitico», «papista», «giansenista» e «inquisitorio». Ma l’idea più detestabile riproposta con maggior successo è quella dell’odiata Inquisizione intesa come il crudele strumento usato dalla Chiesa cattolica per annientare i suoi nemici. In questo modo la «cattolicissima» Spagna è stata dipinta, soprattutto a uso e consumo delle persone di lingua inglese, come il grande avversario di tutto il protestantesimo. Negli Stati Uniti, vuoi per i popolari fumetti Chick, vuoi per i sofisticati intellettuali appartenenti all’Ivy League che negli anni Sessanta temevano la campagna di Kennedy, l’Inquisizione è generalmente considerata la parte romana della triade denunciata nel 1884 dall’ecclesiastico Samuel Dickinson Burchard (1) nel celebre motto «rum, romanesimo e ribellione». Gli americani appartenenti al partito Know-Nothing, contrario all’immigrazione, e il Book of Martyrs di John Foxe, continuamente ristampato, o anche i sostenitori della rivoluzione sessuale postsessantottina e oggi dell’aborto libero, sono pronti a sventolare lo spauracchio dell’Inquisizione per raggiungere i rispettivi scopi. Ma che cosa conoscono della sua storia? Sono a conoscenza del fatto che l’Inquisizione non fu mai un organo preminentemente antiprotestante e che Filippo II di Spagna non ebbe mai una politica estera coerentemente tale? Sanno che la maggior parte dei Paesi avevano strutture equivalenti per giudicare l’eresia, senza bisogno di dover importare niente del genere dalla Spagna, fossero essi cattolici o protestanti? Quanti ricordano che in Italia i sentimenti antispagnoli raggiunsero punte di grande intensità, che qui l’Inquisizione spagnola venne ridicolizzata e che i cattolici italiani schernirono l’idea delta purezza della razza? «Una delle caratteristiche della storia dell’Inquisizione è che coloro che la praticavano hanno costantemente fallito nel rendere l’Inquisizione spagnola pari agli analoghi tribunali esistenti altrove in Europa nel sedicesimo e diciassettesimo secolo» (2).
Le origini dell’Inquisizione spagnola e le sue finalità
Spesso non viene fatta distinzione alcuna tra l’Inquisizione romana (prettamente ecclesiastica) e l’Inquisizione spagnola, nel contempo secolare ed ecclesiastica, il cui più celebre esponente fu il domenicano Tomás de Torquemada. La sua carriera di Grande Inquisitore (egli non ebbe mai nelle sue mani tutto il controllo, che divideva con altri «capi») terminò nel 1498 con la sua morte, assai prima della comparsa sulla scena di Lutero e Calvino. Molto spesso, in assenza di un contesto chiarificatore, l’Inquisizione viene considerata un’arma della Chiesa cattolica contro tutti gli eretici in tutti i tempi, nonostante la sua originaria forma ecclesiastica, piuttosto moderata, risalga al 1232, quando venne istituita per combattere le eresie catara e albigese nella Francia del tardo Medioevo (3). Oppure viene ritenuta l’unica causa della rovina della stessa Spagna nei secoli successivi.
Ma l’istituzione di un tribunale non rappresentava una novità, in quanto la maggior parte delle diocesi disponeva di tribunali autorizzati dai vescovi a giudicare una certa varietà di casi e argomenti secondo la legge canonica. L’eresia non era che una delle loro competenze; una «inquisizione» era solo una entità giuridica maggiormente particolareggiata, equivalente a quello che oggi potremmo definire l’ufficio di un «pubblico ministero specializzato» (4). Nella maggior parte dei casi non esisteva altro sistema giudiziario che quello ecclesiastico e ci vollero secoli perché lo Stato secolare europeo potesse distinguersi con un suo sistema completamente separato di giustizia e applicazione delle leggi. In realtà, molti inquisitori erano laici istruiti in materia di leggi e le denunce di solito venivano fatte da cittadini qualsiasi e non da speciali spie. La caratterizzazione gotica dei «monaci folli», la cui rete di spionaggio si sarebbe estesa ovunque, è in palese contrasto con la ricca documentazione autentica a nostra disposizione (5). L‘Inquisizione non fu mai efficiente come avrebbe voluto e con il trascorrere dei secoli si sclerotizzò come ogni altra burocrazia. Il suo punto di forza era sempre consistito nel suo essere itinerante e, una volta che questa condizione venne a mancare o fu ostacolata, ne risultò una inefficienza ancora maggiore. Per ciò che riguarda la severità dell’Inquisizione, il brano che segue è istruttivo per il lettore contemporaneo:
«Il numero proporzionatamente ridotto di esecuzioni è una prova contro la leggenda di un tribunale assetato di sangue. Certo, nulla può cancellare i primi 20 anni di olocausti. Né possono essere minimizzate le esplosioni sporadiche di crudeltà, come quella di cui furono vittime i chuetas alla fine del XVII secolo. Ma appare evidente che, nella maggior parte della sua esistenza, l’Inquisizione fu ben lontana dall’essere un moloch di morte, sia nella teoria sia nella pratica. I dati [...] relativi alle pene inflitte in Valenza e in Galizia suggeriscono una percentuale di esecuzione ben inferiore al 2% degli accusati. È stato calcolato che in 19 tribunali [...] la percentuale di esecuzioni nel periodo 1540-1700 fu dell'1,83% in persona e dell’1,65% in effigie. Se questi dati si avvicinano in qualche modo alla verità, sembrerebbe che durante il XVI e il XVII secolo in tutti i domini della monarchia spagnola, dalla Sicilia al Perù, siano state giustiziate dall’Inquisizione meno di tre persone all’anno: forse una percentuale più bassa di quella di un qualunque altro tribunale provinciale di giustizia. In realtà un confronto tra i tribunali secolari e l’Inquisizione per quanto riguarda il rigore delle pene non può che essere favorevole a quest’ultima. Per esempio, nel 1576 il corregidor di Plasencia consegnò al Santo Uffizio di Llerena un morisco condannato dalla sua giurisdizione a essere impiccato e squartato per aver presumibilmente fatto a pezzi un’immagine della Vergine: ma l’Inquisizione ritenne che l’evidenza non fosse stata dimostrata e lo rilasciò. Bisogna tuttavia ricordare che, benché la percentuale di morti fosse bassa, essa gravava pesantemente su persone di origine ebraica e moresca. La frequenza, comunque relativa, delle esecuzioni sul rogo dei primi tempi scomparve nel XIII secolo, e nei 19 anni del regno di Carlo III e di Carlo IV solo quattro persone vennero condannate al rogo» (6).
L'istituzione spagnola del Santo Uffizio dell’Inquisizione, modellata sull’originale francese (7), aveva come intento quello di essere un progetto politico nazionale più limitato nel tempo, che si occupasse della questione dei conversos (o «nuovi cristiani»). In effetti alcuni di essi simulavano soltanto la conversione, a volte perché non era stato loro insegnato molto sul cristianesimo, altri perché appartenevano a comunità «clandestine» sparse in tutta la penisola. Nella Spagna del periodo precedente alla Controriforma, ad esempio, molte zone montagnose e rurali del Paese erano state cristianizzate solo superficialmente e una crassa ignoranza era la norma per il clero e per la gente. Tuttavia gii «ebraizzanti» avevano la tendenza a vivere nelle città, come in genere tutti gli ebrei. I «falsi cristiani» suscitarono un dissenso che allarmò i responsabili dell’ordine pubblico in una società integrale dove Chiesa e Stato erano inseparabili sia legalmente sia psicologicamente. L’Inquisizione non fece altro che acuire le tensioni etniche già esistenti da lungo tempo, malgrado la conviviencia (8). I musulmani e gli ebrei non erano sotto la giurisdizione dell’Inquisizione perché non battezzati. D’altro canto «tutti coloro che erano stati regolarmente battezzati, in quanto ipso facto cristiani membri della Chiesa cattolica, erano sotto la giurisdizione dell’Inquisizione. Perciò, di tanto in tanto, negli auto che si tenevano in Spagna comparivano eretici stranieri. I protestanti mandati al rogo a Siviglia a metà del 1500 sono una dimostrazione dell’aumento graduale del numero degli stranieri imprigionati, un fenomeno naturale in un porto di mare internazionale» (9).
La questione della «limpieza de sangre»
Il problema parzialmente sommerso era di natura razziale e non certo dottrinale, in quanto l’élite dei vecchi cristiani si sentiva a volte eclissata da quella dei nuovi cristiani. Tale problema veniva definito limpieza de sangre (purezza di sangue). Il concetto di onore (più vicino a quello che noi definiremmo «orgoglio») era anch’esso di origine culturale, e l’onore si accompagnava all’essere cristiani di vecchio lignaggio. I pregiudizi razziali crebbero e i vecchi cristiani divennero sempre piü ansiosi rispetto alle sorti della propria razza. «Ovviamente esisteva l’antisemitismo, ma le leggi discriminatorie relative alla limpieza cominciarono ad acquistare vigore solo dopo la legge di Toledo del 1547 (10). A quel punto si trattava di una questione di sicurezza nazionale. Il lato oscuro di questo atteggiamento razzista ebbe come unico effetto quello d’indebolire la Spagna: a partire dal XVII secolo si sviluppò una considerevole opposizione al culto della limpieza. Tuttavia, sin dalla fine del XV secolo, vi furono anche «nuovi conversos» e «vecchi conversos», che complicarono ulteriormente questo problema della società spagnola. I conversos avevano i giusti agganci a Roma per esercitare sul Papato pressioni in proprio favore e tale pratica si risolveva occasionalmente a loro vantaggio. I Papi erano regolarmente in conflitto con la monarchia spagnola su questo e altri punti. Dopo la crisi originaria, è significativo il fatto che l’Inquisizione sopravvivesse ai suoi scopi e si mantenesse in vita (11). Alcuni hanno sempre sottolineato il fatto che la Chiesa cattolica poteva riattivare in ogni momento questa istituzione, che essi sostenevano basata sulla tortura e sull’estorsione di confessioni per mezzo della coercizione, oltre ad attribuirle altre infami prerogative (12). Gli storici autorevoli considerano invece tali affermazioni mera propaganda. Vogliamo sottoporre all'attenzione dei lettori una fonte laica, quella di Reginald Trevor Davies, autore de Il secolo d’oro della Spagna, che in un suo articolo nel volume 21 dell'Enciclopedia Britannica scrive:
«La Chiesa spagnola era ricca e potente perché il popolo era profondamente religioso e perché essa era principalmente un’istituzione nazionale in cui nessuno straniero poteva rivestire un ufficio e in cui la corona rappresentava la suprema autorità (dato che il potere del Papa era stato ridotto quasi a zero). Fu quindi un fatto di grave rilevanza politica che, durante l’anarchia del regno di Enrico IV (1454-1475), gli ebrei conquistassero grande potere e influenza. Essi potevano costringere — a volte grazie al sistema dell’usura — i loro debitori ad abiurare la fede cristiana; e i marranos (ebrei battezzati) spesso mantenevano in segreto la loro fede religiosa originaria. Contemporaneamente era aumentato il potere dei moriscos (mori battezzati) ed essi avevano ridato vita ad antiche eresie come il quasi dimenticato manicheismo. A seguito di ciò i re cattolici si rivolsero a papa Sisto IV, che promulgò una Bolla (il I° novembre 1478) con la quale li autorizzava scegliere due o tre inquisitori, che dovevano distinguersi per virtù e sapienza, ai quali egli conferiva la giurisdizione. La Bolla entrò in vigore in virtù di una cédula (decreto) regia promulgata a Medina del Campo (il 7 settembre 1480), che ordinava l’istituzione del Santo Uffizio in Castiglia» (13).
La crisi originaria era una realtà concreta. Possiamo solo rammaricarci del fatto che gli «inquisitori che dovevano distinguersi per virtù e sapienza» spesso non svolgevano il loro compito come esso era stato in origine inteso dal Papa e dai re. Se non altro, gli inquisitori e gli impiegati che da essi dipendevano («famigli») erano più inclini alla grettezza, alla pigrizia e all’avidità che alla crudeltà. L’avidità occupava il primo posto. Gli storici della Chiesa sono stati troppo prudenti nell’affrontare seriamente lo studio dell'Inquisizione. «La storia della Chiesa in genere indugiava su altri tipi di ricerca storica, e i sentimenti confessionali erano ancora abbastanza forti da rendere la storia delle inquisizioni un argomento difficile e dibattuto» (14). Per fortuna oggi le cose sono cambiate e tre storici il cui lavoro è forse per noi quello di maggiore utilità non sono affatto cattolici. Solo uno di loro è uno «storico della Chiesa» nel senso proprio della parola.
Il mito della Leggenda Nera
Esaminiamo ora le osservazioni di Owen Chadwick, per poter procedere a una più dettagliata presentazione dell’opera di Henry Kamen (15) e di Edward Peters (16), entrambi già citati. Nessuno potrebbe accusare questi stimati accademici, inglesi i primi due, di tendenze partigiane a favore dei cattolici. E tuttavia essi mostrano l’Inquisizione in una luce diversa da quella degli eccessivi travisamenti che gli spagnoli stessi chiamano la Leggenda Nera (La Leyenda Negra). Chadwick dice semplicemente che, prima di Llorente, ovvero dei primi del XVIII secolo 17, non esisteva concretamente a disposizione alcuna documentazione di prima mano relativa all’Inquisizione spagnola. Kamen va oltre. Dopo il dovuto omaggio a Llorente, a Fidel Fita, che intorno al 1890 condusse una ricerca originale, e a Henry Charles Lea la cui storia in quattro volumi fu pubblicata tra il 1906 e il 1908 ed è ancora considerata indispensabile —, egli insiste nell’affermare che anche questo tipo di ricerca tra le fonti originarie staccate dal loro contesto può essere ed è fuorviante, «come se si volesse fare una storia della polizia senza sapere molto sulla società, le leggi o le istituzioni all’interno delle quali la polizia opera» (18). E ancora: «La scoperta della ricchezza della documentazione relativa all’Inquisizione e la sua utilizzazione da parte prima di Liorente e poi di Henry Charles Lea, se ha aiutato a ristabilire l’equilibrio dell’informazione, ha però creato nuovi pericoli. Gli studiosi rischiano di analizzare l’Inquisizione isolata da tutte le altre dimensioni dello Stato e della società, come se il tribunale fosse in qualche modo un fenomeno che si spiegasse da sé: il risultato è che le vecchie concezioni erronee sono state rafforzate e che all’Inquisizione è di nuovo attribuito un ruolo centrale nella religione, nella politica, nella cultura e nell’economia» (19). Perciò, per superare la Leggenda Nera, sono necessarie sia le fonti originarie sia una loro adeguata interpretazione. Peters, dato per certo quanto detto sopra, cerca di aiutarci a comprendere come il «mito» dell’Inquisizione sia stato riciclato con successo da vari gruppi d’interesse sia nei secoli sia al giorno d’oggi. Lo stesso Liorente rivestiva un’alta carica nell’Inquisizione della sua epoca e fu uno dei pochi afrancesados o collaboratori degli occupanti francesi nel periodo napoleonico in Spagna (20). Ecco il sunto della sua carriera fatto da Chadwick: «Il più interessante tra i membri afrancesados del clero fu Juan Antonio Liorente (1756-1823). Canonico di Calahorra, al tempo della Rivoluzione Francese era Segretario Generale dell’Inquisizione di Madrid, e come tale ricevette dal Grande Inquisitore riformista importante materiale per una storia dell’Inquisizione. A seguito degli avvenimenti del 1808, egli riconobbe Giuseppe Bonaparte come sovrano ed entrò a Madrid con il suo seguito. Essendo uno dei pochi ecclesiastici disponibili a collaborare, egli venne colmato di onori e di lavori di responsabilità, specialmente in materia di scioglimento dei monasteri e di amministrazione dei beni confiscati, e ricevette inoltre in custodia gli archivi dell’Inquisizione. Liorente spese il suo tempo nella raccolta di materiale per la sua storia. Ovviamente dovette ritirarsi con i francesi e trascorse dieci anni in esilio finché il Governo spagnolo ne commutò la condanna alla pena capitale. Nel 1817-18 egli pubblicò a Parigi in quattro volumi la sua Storia critica dell’Inquisizione spagnola, che scandalizzò molti spagnoli e diede infine all'Inquisizione spagnola l’infame reputazione che le rimase nel tempo. La Storia venne messa subito all’Indice dei libri proibiti. Il resoconto non era una storia imparziale, ma era l’unico compiuto fino ad allora da qualcuno che avesse accesso a documenti autentici e perciò rimase valido in quanto indispensabile. Nella prospettiva della storia della Chiesa e della reputazione d’intolleranza e di fanatismo accreditata al cattolicesimo spagnolo, il libro di Liorente fu il più importante e unico risultato ottenuto dal piccolo movimento degli afrancesados tra gli ecclesiastici» (21). I sacerdoti spagnoli che tradirono il loro Paese furono molto pochi, quindi Liorente rappresentò un’eccezione. Ma non fu questo a renderlo famoso. Egli deve la sua reputazione al possesso della documentazione sull’Inquisizione e per questo è importante per noi. Egli aveva le prove. La sua esposizione partigiana rimase dominante per mancanza di qualsiasi testimonianza contraria. L’esame degli studi di Kamen e di Peters lo rimandiamo a un prossimo articolo.
Note
(1) S. D. Burchard (1812-1891) parlava a nome di una delegazione di sacerdoti che si rivolgeva a James G. Blaine, candidato presidenziale repubblicano, a New York. (2) E. PETERS, Inquisition, University of California Press, Berkeley 1989, 87. (3) Prima dell'istituzione dell’Inquisizione papale, la giurisdizione sugli eretici era prerogativa esclusiva dei vescovi. Un libro molto noto, che utilizza i reglstri papali e che documenta questo nuovo sistema e lo interpreta secondo i criteri della scuola delle Annales, è: E. LE ROY LADURIE, Montaillon: village occitan de 1294 à 1324, Gallimard, Paris 1973. Montaillou fu l’ultimo villaggio che sostenne attivamente l’eresia catara. Inoltre «[...] l’Inquisizione spagnola è una tra le poche prime istituzioni moderne sulla cui organizzazione e procedura è disponibile un’enorme mole di documentazione. In parte l’Inquisizione, come ogni tribunale, aveva bisogno del lavoro di scrittura per sopravvivere: il grande sforzo di stabilire precedenti e di conservare prove scritte dei privilegi obbligava i funzionari a registrare ogni cosa»: cfr H. KAMEN, Inquisition and Society in Spain in the sixteenth and seventeenth centuries, Indiana Univcrsity Press, Bloomington 1985, 169. La stessa Inquisizione papale può essere datata dal 1184, quando papa Lucio III promulgô il decreto Ad abolendam, che confermava un accordo del 117; cfr F. PETERS, Inquisition, cit., 47. Lo scopo limitato e la non universalità dell’Inquisizione possono essere riassunti in queste parole: «Perciò l’Inquisizione spagnola dev’essere considerata essenzialmente un incidente nella storia del cristianesimo nella Spagna del XV e XV secolo e interpretata in tal senso. Istituita verso la fine del XV secolo, essa durò 350 anni e la sua storia è quella di una delle prime istituzioni moderne europee religiose e giudiziarie, il cui scopo era di difendere il cattolicesimo spagnolo riaffermando visibilmente e pubblicamente l’ortodossia religiosa della società spagnola», ivi, 101, s. (4) Per la storia giuridica e le radici della inquisitio nel diritto romano cfr ivi, 11-17. (5) H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 142 s. Cfr per esempio G. HENNINGSEN - J. TEDESCHI - C. AMIEL (edd.), The Inquisition in Early Modern Europe: Studies on Sources and Methods, Northern Illinois University Press, Dekalb 1986. L'enorme mole di materiale e il lavoro da fare appaiono evidenti. (6) H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 189. «La valutazione più attendibile è che, tra il 1550 e il 1800, in Spagna vennero emesse 3.000 sentenze di morte secondo verdetto inquisitoriale, un numero molto inferiore a quello degli analoghi tribunali secolari »: E. PETERS, Inquisition, cit., 87. (7) Cfr H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 136 s. L'Inquisizione medievale era sotto la giurisdisizione del Papa, mentre l’autorizzazione per la nuova Inquisizione spagnola venne trasmessa al re dal Papa: il sovrano quindi esercitava la sua giurisdizione come riteneva opportuno. Kamen sostiene che l’autorità dell’Inquisizione non fu mai definita e che essa in Spagna era «duplice», sia civile sia ecclesiastica: «La verità è che la stessa Inquisizione rifiutò sempre di definire chiaramente la propria giurisdizione, in quanto questo avrebbe significato porre chiari limiti al suo potere», ivi, 240. (8) Nella storia spagnola il termine si riferisce alla coesistenza armoniosa e pluralistica tra comunità cristiane, ebraiche e islamiche nel Medioevo. La Spagna si trasformò poi gradualmente da società armoniosa in «società dei conflitti». (9) Ivi, 2i6. L’lnquisizione era se non altro molto «legalistica» e rimaneva entro i precisi confini stabiliti dalla Chiesa e dalla legge civile. (10) Ivi, 219. Kamen afferma che anche dopo l’abolizione dell'Inquisizione rimase un’eredita di antisemitismo – «antisemitismo senza né ebrei né criptoebrei» – nei secoli XIX e XX: cfr ivi, 235-237. (11) Nel 1495 c’erano 16 tribunali, ma dal 1507 ne rimasero solo sette, tanto era diminuita la minaccia giudaizzante. La comparsa del protestantesimo al di là dei confini spagnoli aveva spinto Carlo V a stare in guardia affinché esso non penetrasse nella penisola iberica. Questo fornì all’Inquisizione un nuovo bersaglio e un nuovo fulcro di azione: lo sradicamento dell’erasmianesimo, del luteranesimo e delle altre tendenze protestanti. L’espulsione dei moriscos, avvenuta tra il 1609 e il 1614, non fu voluta dall’Inquisizione: cfr ivi, 113. «[...] può risultare più istruttivo dividere l’attività del tribunale in cinque fasi principali: 1) il periodo dell’intensa persecuzione contro i conversos dopo il 1480; 2) il periodo di relativa calma dei primi del sec. XVI; 3) il grande periodo dell’attività contro i protestanti e i moriscos tra il 1560 e il 1614; 4) il sec. XVII, quando la maggior parte delle persone processate non erano né di origine ebraica né moresca; 5) il sec. XVIII, quando l’eresia non rappresentava più un problema: ivi 184. Nonostante ciò, vi furono altre due ondate di persecuzione anti-giudaizzante, una nella seconda parte del sec. XVII (conversos di origine portoghese) e una intorno al 1720; cfr ivi, 219-237; cfr anche E. PETERS, Inquisition, cit., 88. (12) Coloro che erano stati condannati all’autodafè (morte sul rogo) potevano sconfessare i propri errori e ricevere così una sentenza attenuata. È anche possibile che vi fossero dissimulatori che facevano ciò che veniva loro detto per evitare la pena capitale. Quelli che chiedevano perdono, e la cui confessione veniva accettata, ricevevano una pena lieve se si trattava della prima trasgressione (gli eretici recidivi non venivano perdonati facilmente): H. KAMEN, Inquisition and society..., cit., 75. Inoltre nei primi anni veniva letto in chiesa un «editto di grazia», cui seguiva un «periodo di grazia» generalmente di 30 o 40 giorni. Quelli che denunciavano se stessi e i loro complici venivano graziati. L’autodenuncia in termini così favorevoli era un fatto molto comune; cfr ivi, 161 s. Per le condizioni di prigionia e l’argomento tortura, cfr ivi 171- 177 ed E. PETERS, Inquisition, cit., 92 s. Il paragone tra l’Inquisizione e le istituzioni penali secolari in Spagna e nel resto dell’Europa fu decisamente a favore della prima. Che cosa si può dire delle condanne al rogo? «Le caratteristiche principali degli autos erano la processione, la messa, la predica durante la messa e la riconciliazione dei peccatori. Sarebbe sbagliato pensare, come avviene comunemente, che l'esecuzione materiale della sentenza fosse il momento centrale. Può darsi che i roghi rappresentassero la componente spettacolare di molti autos ma essi erano la parte meno importante dell’intera procedura e un gran numero di autos ebbero luogo senza che venisse accesa una sola fascina. Il termine autodafé nella mente del lettore medio evoca immagini di fiamme e di fanatismo. Ma una traduzione letterale di esso ci porterebbe più vicini alla realtà: H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 194. «L'esecuzione pubblica degli eretici dichiarati colpevoli era nota come autodafé, l”"atto di fede"»: E. PETERS, Inquisition, cit., 85. In altri termini, tali spettacoli avevano il compito d’istruire, impressionare e indirizzare le folle verso l'ortodossia religiosa. Si trattava, insomma, di una forma di educazione popolare. (13) Cfr «Spain». in Enciclopedia Britannica, vol. 21, Benton, London 1960, 121 s. (14) Cfr E. PETERS, Inquisition, cit., 287. (15) L’A. suggerisce di andare oltre il suo scritto sull’argomento. Tra i libri che raccomanda c'è l’elenco delle fonti fatto da F. VAN DER VEKENE, in Bibliotheca Bibliographica Historiae Sanctae Inquisitionis, 2 voll. Vaduz, 192-1983 e A. ALCALÀ (ed.) Inquisicìon española y mentalidad inquisitorial, Barcelona 1984. Qucst’ultima opera raccoglie gli atti di un Convegno sull'Inquisizione spagnola tenutosi at Brooklyn College di New York nel 1983. Tuttavia è probabile che lo strumento più completo d’indagine pubblicato dopo il lavoro di Kamen sia G. HENNINGSEN ET AL. (edd.), The Inquisition in Early Modern Europe: Studies on Sources and Methods, Northern Illinois University Press, Dekalb 1986. (16) Il suo prezioso lavoro dal titolo Inquisition uscì dopo la pubblicazione di quello di Kamen nel suo saggio bibliografico, Peters colloca la storia di Kamen subito dopo l’opera di Henry Charles Lea. (17) «Il fondamento giuridico del primo autodafé dell’Inquisizione contro il protestantesimo fu il decreto tridentino del 1547 sulla giustificazione. Lo stesso Filippo presenziò, dalla balconata reale, al grande autodé di Valladolid dell'8 ottobre 1559, il che significava che quei decreti erano stati confermati con il fuoco. Mentre Carlo V aveva fatto il possibile per ostacolarli, Filippo fu uno dei loro più aperti sostenitori. Si trattava di ben più che dell’ortodossia: vi era coinvolto l’onore dell'Inquisizione al pari di quello dello stesso sovrano cattolico. Ora la Spagna era irrevocabilmente legata al Concilio di Trento. Questo non significa affatto suggerire che il grottesco ritratto di Filippo è della Leggenda Nera non sia stato giustamente screditato. Non gli si può infatti attribuire alcun particolare monopolio dell’intolleranza». D. NUGENT, Ecumenism in the Age of the Reformation. The Colloquy of Poissy, Harvard University Press, Cambridge 1974, 41. (18) H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., VIII. (19) Ivi, 259. Kamen conclude che l’Inquisizione era in realtà un fenomeno marginale nell'evoluzione della Spagna e che essa toccava la vita di un numero relativamente limitato di spagnoli. (20) Chadwick afferma: «All’epoca la resistenza spagnola li chiamò semplicemente traditori. La storia diede loro il nome di afrancesados e francesizzati...»: cfr. O. CHADWICK, The Popes and European Revolution, Clarendon Press, Oxford 1981, 530. (21) Ivi, 530 s., cfr anche E. PETERS, Inquisition, cit., 278-287.
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