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W l'Inquisizione!!!!!, Nobile istituzione da apprezzare e restaurare

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aragorn88
icon1  view post Posted on 3/7/2006, 11:02




Oltre il mito dell'Inquisizione.
I Parte


di Brian Van Hove S.I.


[Da "La Civiltà Cattolica" 1992, IV, quad. 3419, pp. 458-467]


Per molto tempo i protestanti inglesi vecchio stampo e altri anticattolici nelle loro polemiche hanno messo l’accento su parole quali «gesuitico», «papista», «giansenista» e «inquisitorio». Ma l’idea più detestabile riproposta con maggior successo è quella dell’odiata Inquisizione intesa come il crudele strumento usato dalla Chiesa cattolica per annientare i suoi nemici. In questo modo la «cattolicissima» Spagna è stata dipinta, soprattutto a uso e consumo delle persone di lingua inglese, come il grande avversario di tutto il protestantesimo. Negli Stati Uniti, vuoi per i popolari fumetti Chick, vuoi per i sofisticati intellettuali appartenenti all’Ivy League che negli anni Sessanta temevano la campagna di Kennedy, l’Inquisizione è generalmente considerata la parte romana della triade denunciata nel 1884 dall’ecclesiastico Samuel Dickinson Burchard (1) nel celebre motto «rum, romanesimo e ribellione». Gli americani appartenenti al partito Know-Nothing, contrario all’immigrazione, e il Book of Martyrs di John Foxe, continuamente ristampato, o anche i sostenitori della rivoluzione sessuale postsessantottina e oggi dell’aborto libero, sono pronti a sventolare lo spauracchio dell’Inquisizione per raggiungere i rispettivi scopi. Ma che cosa conoscono della sua storia? Sono a conoscenza del fatto che l’Inquisizione non fu mai un organo preminentemente antiprotestante e che Filippo II di Spagna non ebbe mai una politica estera coerentemente tale? Sanno che la maggior parte dei Paesi avevano strutture equivalenti per giudicare l’eresia, senza bisogno di dover importare niente del genere dalla Spagna, fossero essi cattolici o protestanti? Quanti ricordano che in Italia i sentimenti antispagnoli raggiunsero punte di grande intensità, che qui l’Inquisizione spagnola venne ridicolizzata e che i cattolici italiani schernirono l’idea delta purezza della razza? «Una delle caratteristiche della storia dell’Inquisizione è che coloro che la praticavano hanno costantemente fallito nel rendere l’Inquisizione spagnola pari agli analoghi tribunali esistenti altrove in Europa nel sedicesimo e diciassettesimo secolo» (2).

Le origini dell’Inquisizione spagnola e le sue finalità

Spesso non viene fatta distinzione alcuna tra l’Inquisizione romana (prettamente ecclesiastica) e l’Inquisizione spagnola, nel contempo secolare ed ecclesiastica, il cui più celebre esponente fu il domenicano Tomás de Torquemada. La sua carriera di Grande Inquisitore (egli non ebbe mai nelle sue mani tutto il controllo, che divideva con altri «capi») terminò nel 1498 con la sua morte, assai prima della comparsa sulla scena di Lutero e Calvino. Molto spesso, in assenza di un contesto chiarificatore, l’Inquisizione viene considerata un’arma della Chiesa cattolica contro tutti gli eretici in tutti i tempi, nonostante la sua originaria forma ecclesiastica, piuttosto moderata, risalga al 1232, quando venne istituita per combattere le eresie catara e albigese nella Francia del tardo Medioevo (3). Oppure viene ritenuta l’unica causa della rovina della stessa Spagna nei secoli successivi.

Ma l’istituzione di un tribunale non rappresentava una novità, in quanto la maggior parte delle diocesi disponeva di tribunali autorizzati dai vescovi a giudicare una certa varietà di casi e argomenti secondo la legge canonica. L’eresia non era che una delle loro competenze; una «inquisizione» era solo una entità giuridica maggiormente particolareggiata, equivalente a quello che oggi potremmo definire l’ufficio di un «pubblico ministero specializzato» (4). Nella maggior parte dei casi non esisteva altro sistema giudiziario che quello ecclesiastico e ci vollero secoli perché lo Stato secolare europeo potesse distinguersi con un suo sistema completamente separato di giustizia e applicazione delle leggi. In realtà, molti inquisitori erano laici istruiti in materia di leggi e le denunce di solito venivano fatte da cittadini qualsiasi e non da speciali spie. La caratterizzazione gotica dei «monaci folli», la cui rete di spionaggio si sarebbe estesa ovunque, è in palese contrasto con la ricca documentazione autentica a nostra disposizione (5). L‘Inquisizione non fu mai efficiente come avrebbe voluto e con il trascorrere dei secoli si sclerotizzò come ogni altra burocrazia. Il suo punto di forza era sempre consistito nel suo essere itinerante e, una volta che questa condizione venne a mancare o fu ostacolata, ne risultò una inefficienza ancora maggiore.
Per ciò che riguarda la severità dell’Inquisizione, il brano che segue è istruttivo per il lettore contemporaneo:

«Il numero proporzionatamente ridotto di esecuzioni è una prova contro la leggenda di un tribunale assetato di sangue. Certo, nulla può cancellare i primi 20 anni di olocausti. Né possono essere minimizzate le esplosioni sporadiche di crudeltà, come quella di cui furono vittime i chuetas alla fine del XVII secolo. Ma appare evidente che, nella maggior parte della sua esistenza, l’Inquisizione fu ben lontana dall’essere un moloch di morte, sia nella teoria sia nella pratica. I dati [...] relativi alle pene inflitte in Valenza e in Galizia suggeriscono una percentuale di esecuzione ben inferiore al 2% degli accusati. È stato calcolato che in 19 tribunali [...] la percentuale di esecuzioni nel periodo 1540-1700 fu dell'1,83% in persona e dell’1,65% in effigie. Se questi dati si avvicinano in qualche modo alla verità, sembrerebbe che durante il XVI e il XVII secolo in tutti i domini della monarchia spagnola, dalla Sicilia al Perù, siano state giustiziate dall’Inquisizione meno di tre persone all’anno: forse una percentuale più bassa di quella di un qualunque altro tribunale provinciale di giustizia. In realtà un confronto tra i tribunali secolari e l’Inquisizione per quanto riguarda il rigore delle pene non può che essere favorevole a quest’ultima. Per esempio, nel 1576 il corregidor di Plasencia consegnò al Santo Uffizio di Llerena un morisco condannato dalla sua giurisdizione a essere impiccato e squartato per aver presumibilmente fatto a pezzi un’immagine della Vergine: ma l’Inquisizione ritenne che l’evidenza non fosse stata dimostrata e lo rilasciò. Bisogna tuttavia ricordare che, benché la percentuale di morti fosse bassa, essa gravava pesantemente su persone di origine ebraica e moresca. La frequenza, comunque relativa, delle esecuzioni sul rogo dei primi tempi scomparve nel XIII secolo, e nei 19 anni del regno di Carlo III e di Carlo IV solo quattro persone vennero condannate al rogo» (6).

L'istituzione spagnola del Santo Uffizio dell’Inquisizione, modellata sull’originale francese (7), aveva come intento quello di essere un progetto politico nazionale più limitato nel tempo, che si occupasse della questione dei conversos (o «nuovi cristiani»). In effetti alcuni di essi simulavano soltanto la conversione, a volte perché non era stato loro insegnato molto sul cristianesimo, altri perché appartenevano a comunità «clandestine» sparse in tutta la penisola. Nella Spagna del periodo precedente alla Controriforma, ad esempio, molte zone montagnose e rurali del Paese erano state cristianizzate solo superficialmente e una crassa ignoranza era la norma per il clero e per la gente. Tuttavia gii «ebraizzanti» avevano la tendenza a vivere nelle città, come in genere tutti gli ebrei. I «falsi cristiani» suscitarono un dissenso che allarmò i responsabili dell’ordine pubblico in una società integrale dove Chiesa e Stato erano inseparabili sia legalmente sia psicologicamente. L’Inquisizione non fece altro che acuire le tensioni etniche già esistenti da lungo tempo, malgrado la conviviencia (8).
I musulmani e gli ebrei non erano sotto la giurisdizione dell’Inquisizione perché non battezzati. D’altro canto «tutti coloro che erano stati regolarmente battezzati, in quanto ipso facto cristiani
membri della Chiesa cattolica, erano sotto la giurisdizione dell’Inquisizione. Perciò, di tanto in tanto, negli auto che si tenevano in Spagna comparivano eretici stranieri. I protestanti mandati al rogo a Siviglia a metà del 1500 sono una dimostrazione dell’aumento graduale del numero degli stranieri imprigionati, un fenomeno naturale in un porto di mare internazionale» (9).

La questione della «limpieza de sangre»

Il problema parzialmente sommerso era di natura razziale e non certo dottrinale, in quanto l’élite dei vecchi cristiani si sentiva a volte eclissata da quella dei nuovi cristiani. Tale problema veniva definito limpieza de sangre (purezza di sangue). Il concetto di onore (più vicino a quello che noi definiremmo «orgoglio») era anch’esso di origine culturale, e l’onore si accompagnava all’essere cristiani di vecchio lignaggio. I pregiudizi razziali crebbero e i vecchi cristiani divennero sempre piü ansiosi rispetto alle sorti della propria razza. «Ovviamente esisteva l’antisemitismo, ma le leggi discriminatorie relative alla limpieza cominciarono ad acquistare vigore solo dopo la legge di Toledo del 1547 (10). A quel punto si trattava di una questione di sicurezza nazionale. Il lato oscuro di questo atteggiamento razzista ebbe come unico effetto quello d’indebolire la Spagna: a partire dal XVII secolo si sviluppò una considerevole opposizione al culto della limpieza. Tuttavia, sin dalla fine del XV secolo, vi furono anche «nuovi conversos» e «vecchi conversos», che complicarono ulteriormente questo problema della società spagnola. I conversos avevano i giusti agganci a Roma per esercitare sul Papato pressioni in proprio favore e tale pratica si risolveva occasionalmente a loro vantaggio. I Papi erano regolarmente in conflitto con la monarchia spagnola su questo e altri punti.
Dopo la crisi originaria, è significativo il fatto che l’Inquisizione sopravvivesse ai suoi scopi e si mantenesse in vita (11). Alcuni hanno sempre sottolineato il fatto che la Chiesa cattolica poteva riattivare in ogni momento questa istituzione, che essi sostenevano basata sulla tortura e sull’estorsione di confessioni per mezzo della coercizione, oltre ad attribuirle altre infami prerogative (12). Gli storici autorevoli considerano invece tali affermazioni mera propaganda. Vogliamo sottoporre all'attenzione dei lettori una fonte laica, quella di Reginald Trevor Davies, autore de Il secolo d’oro della Spagna, che in un suo articolo nel volume 21 dell'Enciclopedia Britannica scrive:

«La Chiesa spagnola era ricca e potente perché il popolo era profondamente religioso e perché essa era principalmente un’istituzione nazionale in cui nessuno straniero poteva rivestire un ufficio e in cui la corona rappresentava la suprema autorità (dato che il potere del Papa era stato ridotto quasi a zero). Fu quindi un fatto di grave rilevanza politica che, durante l’anarchia del regno di Enrico IV (1454-1475), gli ebrei conquistassero grande potere e influenza. Essi potevano costringere — a volte grazie al sistema dell’usura — i loro debitori ad abiurare la fede cristiana; e i marranos (ebrei battezzati) spesso mantenevano in segreto la loro fede religiosa originaria. Contemporaneamente era aumentato il potere dei moriscos (mori battezzati) ed essi avevano ridato vita ad antiche eresie come il quasi dimenticato manicheismo. A seguito di ciò i re cattolici si rivolsero a papa Sisto IV, che promulgò una Bolla (il I° novembre 1478) con la quale li autorizzava scegliere due o tre inquisitori, che dovevano distinguersi per virtù e sapienza, ai quali egli conferiva la giurisdizione. La Bolla entrò in vigore in virtù di una cédula (decreto) regia promulgata a Medina del Campo (il 7 settembre 1480), che ordinava l’istituzione del Santo Uffizio in Castiglia» (13).

La crisi originaria era una realtà concreta. Possiamo solo rammaricarci del fatto che gli «inquisitori che dovevano distinguersi per virtù e sapienza» spesso non svolgevano il loro compito come esso era stato in origine inteso dal Papa e dai re. Se non altro, gli inquisitori e gli impiegati che da essi dipendevano («famigli») erano più inclini alla grettezza, alla pigrizia e all’avidità che alla crudeltà. L’avidità occupava il primo posto.
Gli storici della Chiesa sono stati troppo prudenti nell’affrontare seriamente lo studio dell'Inquisizione. «La storia della Chiesa in genere indugiava su altri tipi di ricerca storica, e i sentimenti confessionali erano ancora abbastanza forti da rendere la storia delle inquisizioni un argomento difficile e dibattuto» (14). Per fortuna oggi le cose sono cambiate e tre storici il cui lavoro è forse per noi quello di maggiore utilità non sono affatto cattolici. Solo uno di loro è uno «storico della Chiesa» nel senso proprio della parola.

Il mito della Leggenda Nera

Esaminiamo ora le osservazioni di Owen Chadwick, per poter procedere a una più dettagliata presentazione dell’opera di Henry Kamen (15) e di Edward Peters (16), entrambi già citati. Nessuno potrebbe accusare questi stimati accademici, inglesi i primi due, di tendenze partigiane a favore dei cattolici. E tuttavia essi mostrano l’Inquisizione in una luce diversa da quella degli eccessivi travisamenti che gli spagnoli stessi chiamano la Leggenda Nera (La Leyenda Negra).
Chadwick dice semplicemente che, prima di Llorente, ovvero dei primi del XVIII secolo 17, non esisteva concretamente a disposizione alcuna documentazione di prima mano relativa all’Inquisizione spagnola. Kamen va oltre. Dopo il dovuto omaggio a Llorente, a Fidel Fita, che intorno al 1890 condusse una ricerca originale, e a Henry Charles Lea la cui storia in quattro volumi fu pubblicata tra il 1906 e il 1908 ed è ancora considerata indispensabile —, egli insiste nell’affermare che anche questo tipo di ricerca tra le fonti originarie staccate dal loro contesto può essere ed è fuorviante, «come se si volesse fare una storia della polizia senza sapere molto sulla società, le leggi o le istituzioni all’interno delle quali la polizia opera» (18). E ancora: «La scoperta della ricchezza della documentazione relativa all’Inquisizione e la sua utilizzazione da parte prima di Liorente e poi di Henry Charles Lea, se ha aiutato a ristabilire l’equilibrio dell’informazione, ha però creato nuovi pericoli. Gli studiosi rischiano di analizzare l’Inquisizione isolata da tutte le altre dimensioni dello Stato e della società, come se il tribunale fosse in qualche modo un fenomeno che si spiegasse da sé: il risultato è che le vecchie concezioni erronee sono state rafforzate e che all’Inquisizione è di nuovo attribuito un ruolo centrale nella religione, nella politica, nella cultura e nell’economia» (19). Perciò, per superare la Leggenda Nera, sono necessarie sia le fonti originarie sia una loro adeguata interpretazione.
Peters, dato per certo quanto detto sopra, cerca di aiutarci a comprendere come il «mito» dell’Inquisizione sia stato riciclato con successo da vari gruppi d’interesse sia nei secoli sia al giorno d’oggi. Lo stesso Liorente rivestiva un’alta carica nell’Inquisizione della sua epoca e fu uno dei pochi afrancesados o collaboratori degli occupanti francesi nel periodo napoleonico in Spagna (20).
Ecco il sunto della sua carriera fatto da Chadwick: «Il più interessante tra i membri afrancesados del clero fu Juan Antonio Liorente (1756-1823). Canonico di Calahorra, al tempo della Rivoluzione Francese era Segretario Generale dell’Inquisizione di Madrid, e come tale ricevette dal Grande Inquisitore riformista importante materiale per una storia dell’Inquisizione. A seguito degli avvenimenti del 1808, egli riconobbe Giuseppe Bonaparte come sovrano ed entrò a Madrid con il suo seguito. Essendo uno dei pochi ecclesiastici disponibili a collaborare, egli venne colmato di onori e di lavori di responsabilità, specialmente in materia di scioglimento dei monasteri e di amministrazione dei beni confiscati, e ricevette inoltre in custodia gli archivi dell’Inquisizione. Liorente spese il suo tempo nella raccolta di materiale per la sua storia. Ovviamente dovette ritirarsi con i francesi e trascorse dieci anni in esilio finché il Governo spagnolo ne commutò la condanna alla pena capitale. Nel 1817-18 egli pubblicò a Parigi in quattro volumi la sua Storia critica dell’Inquisizione spagnola, che scandalizzò molti spagnoli e diede infine all'Inquisizione spagnola l’infame reputazione che le rimase nel tempo. La Storia venne messa subito all’Indice dei libri proibiti. Il resoconto non era una storia imparziale, ma era l’unico compiuto fino ad allora da qualcuno che avesse accesso a documenti autentici e perciò rimase valido in quanto indispensabile. Nella prospettiva della storia della Chiesa e della reputazione d’intolleranza e di fanatismo accreditata al cattolicesimo spagnolo, il libro di Liorente fu il più importante e unico risultato ottenuto dal piccolo movimento degli afrancesados tra gli ecclesiastici» (21).
I sacerdoti spagnoli che tradirono il loro Paese furono molto pochi, quindi Liorente rappresentò un’eccezione. Ma non fu questo a renderlo famoso. Egli deve la sua reputazione al possesso della documentazione sull’Inquisizione e per questo è importante per noi. Egli aveva le prove. La sua esposizione partigiana rimase dominante per mancanza di qualsiasi testimonianza contraria. L’esame degli studi di Kamen e di Peters lo rimandiamo a un prossimo articolo.

Note

(1) S. D. Burchard (1812-1891) parlava a nome di una delegazione di sacerdoti che si rivolgeva a James G. Blaine, candidato presidenziale repubblicano, a New York.
(2) E. PETERS, Inquisition, University of California Press, Berkeley 1989, 87.
(3) Prima dell'istituzione dell’Inquisizione papale, la giurisdizione sugli eretici era prerogativa esclusiva dei vescovi. Un libro molto noto, che utilizza i reglstri papali e che documenta questo nuovo sistema e lo interpreta secondo i criteri della scuola delle Annales, è: E. LE ROY LADURIE, Montaillon: village occitan de 1294 à 1324, Gallimard, Paris 1973. Montaillou fu l’ultimo villaggio che sostenne attivamente l’eresia catara. Inoltre «[...] l’Inquisizione spagnola è una tra le poche prime istituzioni moderne sulla cui organizzazione e procedura è disponibile un’enorme mole di documentazione. In parte l’Inquisizione, come ogni tribunale, aveva bisogno del lavoro di scrittura per sopravvivere: il grande sforzo di stabilire precedenti e di conservare prove scritte dei privilegi obbligava i funzionari a registrare ogni cosa»: cfr H. KAMEN, Inquisition and Society in Spain in the sixteenth and seventeenth centuries, Indiana Univcrsity Press, Bloomington 1985, 169. La stessa Inquisizione papale può essere datata dal 1184, quando papa Lucio III promulgô il decreto Ad abolendam, che confermava un accordo del 117; cfr F. PETERS, Inquisition, cit., 47. Lo scopo limitato e la non universalità dell’Inquisizione possono essere riassunti in queste parole: «Perciò l’Inquisizione spagnola dev’essere considerata essenzialmente un incidente nella storia del cristianesimo nella Spagna del XV e XV secolo e interpretata in tal senso. Istituita verso la fine del XV secolo, essa durò 350 anni e la sua storia è quella di una delle prime istituzioni moderne europee religiose e giudiziarie, il cui scopo era di difendere il cattolicesimo spagnolo riaffermando visibilmente e pubblicamente l’ortodossia religiosa della società spagnola», ivi, 101, s.
(4) Per la storia giuridica e le radici della inquisitio nel diritto romano cfr ivi, 11-17.
(5) H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 142 s. Cfr per esempio G. HENNINGSEN - J. TEDESCHI - C. AMIEL (edd.), The Inquisition in Early Modern Europe: Studies on Sources and Methods, Northern Illinois University Press, Dekalb 1986. L'enorme mole di materiale e il lavoro da fare appaiono evidenti.
(6) H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 189. «La valutazione più attendibile è che, tra il 1550 e il 1800, in Spagna vennero emesse 3.000 sentenze di morte secondo verdetto inquisitoriale, un numero molto inferiore a quello degli analoghi tribunali secolari »: E. PETERS, Inquisition, cit., 87.
(7) Cfr H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 136 s. L'Inquisizione medievale era sotto la giurisdisizione del Papa, mentre l’autorizzazione per la nuova Inquisizione spagnola venne trasmessa al re dal Papa: il sovrano quindi esercitava la sua giurisdizione come riteneva opportuno. Kamen sostiene che l’autorità dell’Inquisizione non fu mai definita e che essa in Spagna era «duplice», sia civile sia ecclesiastica: «La verità è che la stessa Inquisizione rifiutò sempre di definire chiaramente la propria giurisdizione, in quanto questo avrebbe significato porre chiari limiti al suo potere», ivi, 240.
(8) Nella storia spagnola il termine si riferisce alla coesistenza armoniosa e pluralistica tra comunità cristiane, ebraiche e islamiche nel Medioevo. La Spagna si trasformò poi gradualmente da società armoniosa in «società dei conflitti».
(9) Ivi, 2i6. L’lnquisizione era se non altro molto «legalistica» e rimaneva entro i precisi confini stabiliti dalla Chiesa e dalla legge civile.
(10) Ivi, 219. Kamen afferma che anche dopo l’abolizione dell'Inquisizione rimase un’eredita di antisemitismo – «antisemitismo senza né ebrei né criptoebrei» – nei secoli XIX e XX: cfr ivi, 235-237.
(11) Nel 1495 c’erano 16 tribunali, ma dal 1507 ne rimasero solo sette, tanto era diminuita la minaccia giudaizzante. La comparsa del protestantesimo al di là dei confini spagnoli aveva spinto Carlo V a stare in guardia affinché esso non penetrasse nella penisola iberica. Questo fornì all’Inquisizione un nuovo bersaglio e un nuovo fulcro di azione: lo sradicamento dell’erasmianesimo, del luteranesimo e delle altre tendenze protestanti. L’espulsione dei moriscos, avvenuta tra il 1609 e il 1614, non fu voluta dall’Inquisizione: cfr ivi, 113. «[...] può risultare più istruttivo dividere l’attività del tribunale in cinque fasi principali: 1) il periodo dell’intensa persecuzione contro i conversos dopo il 1480; 2) il periodo di relativa calma dei primi del sec. XVI; 3) il grande periodo dell’attività contro i protestanti e i moriscos tra il 1560 e il 1614; 4) il sec. XVII, quando la maggior parte delle persone processate non erano né di origine ebraica né moresca; 5) il sec. XVIII, quando l’eresia non rappresentava più un problema: ivi 184. Nonostante ciò, vi furono altre due ondate di persecuzione anti-giudaizzante, una nella seconda parte del sec. XVII (conversos di origine portoghese) e una intorno al 1720; cfr ivi, 219-237; cfr anche E. PETERS, Inquisition, cit., 88.
(12) Coloro che erano stati condannati all’autodafè (morte sul rogo) potevano sconfessare i propri errori e ricevere così una sentenza attenuata. È anche possibile che vi fossero dissimulatori che facevano ciò che veniva loro detto per evitare la pena capitale. Quelli che chiedevano perdono, e la cui confessione veniva accettata, ricevevano una pena lieve se si trattava della prima trasgressione (gli eretici recidivi non venivano perdonati facilmente): H. KAMEN, Inquisition and society..., cit., 75. Inoltre nei primi anni veniva letto in chiesa un «editto di grazia», cui seguiva un «periodo di grazia» generalmente di 30 o 40 giorni. Quelli che denunciavano se stessi e i loro complici venivano graziati. L’autodenuncia in termini così favorevoli era un fatto molto comune; cfr ivi, 161 s. Per le condizioni di prigionia e l’argomento tortura, cfr ivi 171- 177 ed E. PETERS, Inquisition, cit., 92 s. Il paragone tra l’Inquisizione e le istituzioni penali secolari in Spagna e nel resto dell’Europa fu decisamente a favore della prima.
Che cosa si può dire delle condanne al rogo? «Le caratteristiche principali degli autos erano la processione, la messa, la predica durante la messa e la riconciliazione dei peccatori. Sarebbe sbagliato pensare, come avviene comunemente, che l'esecuzione materiale della sentenza fosse il momento centrale. Può darsi che i roghi rappresentassero la componente spettacolare di molti autos ma essi erano la parte meno importante dell’intera procedura e un gran numero di autos ebbero luogo senza che venisse accesa una sola fascina. Il termine autodafé nella mente del lettore medio evoca immagini di fiamme e di fanatismo. Ma una traduzione letterale di esso ci porterebbe più vicini alla realtà: H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 194. «L'esecuzione pubblica degli eretici dichiarati colpevoli era nota come autodafé, l”"atto di fede"»: E. PETERS, Inquisition, cit., 85. In altri termini, tali spettacoli avevano il compito d’istruire, impressionare e indirizzare le folle verso l'ortodossia religiosa. Si trattava, insomma, di una forma di educazione popolare.
(13) Cfr «Spain». in Enciclopedia Britannica, vol. 21, Benton, London 1960, 121 s.
(14) Cfr E. PETERS, Inquisition, cit., 287.
(15) L’A. suggerisce di andare oltre il suo scritto sull’argomento. Tra i libri che raccomanda c'è l’elenco delle fonti fatto da F. VAN DER VEKENE, in Bibliotheca Bibliographica Historiae Sanctae Inquisitionis, 2 voll. Vaduz, 192-1983 e A. ALCALÀ (ed.) Inquisicìon española y mentalidad inquisitorial, Barcelona 1984. Qucst’ultima opera raccoglie gli atti di un Convegno sull'Inquisizione spagnola tenutosi at Brooklyn College di New York nel 1983. Tuttavia è probabile che lo strumento più completo d’indagine pubblicato dopo il lavoro di Kamen sia G. HENNINGSEN ET AL. (edd.), The Inquisition in Early Modern Europe: Studies on Sources and Methods, Northern Illinois University Press, Dekalb 1986.
(16) Il suo prezioso lavoro dal titolo Inquisition uscì dopo la pubblicazione di quello di Kamen nel suo saggio bibliografico, Peters colloca la storia di Kamen subito dopo l’opera di Henry Charles Lea.
(17) «Il fondamento giuridico del primo autodafé dell’Inquisizione contro il protestantesimo fu il decreto tridentino del 1547 sulla giustificazione. Lo stesso Filippo presenziò, dalla balconata reale, al grande autodé di Valladolid dell'8 ottobre 1559, il che significava che quei decreti erano stati confermati con il fuoco. Mentre Carlo V aveva fatto il possibile per ostacolarli, Filippo fu uno dei loro più aperti sostenitori. Si trattava di ben più che dell’ortodossia: vi era coinvolto l’onore dell'Inquisizione al pari di quello dello stesso sovrano cattolico. Ora la Spagna era irrevocabilmente legata al Concilio di Trento. Questo non significa affatto suggerire che il grottesco ritratto di Filippo è della Leggenda Nera non sia stato giustamente screditato. Non gli si può infatti attribuire alcun particolare monopolio dell’intolleranza». D. NUGENT, Ecumenism in the Age of the Reformation. The Colloquy of Poissy, Harvard University Press, Cambridge 1974, 41.
(18) H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., VIII.
(19) Ivi, 259. Kamen conclude che l’Inquisizione era in realtà un fenomeno marginale nell'evoluzione della Spagna e che essa toccava la vita di un numero relativamente limitato di spagnoli.
(20) Chadwick afferma: «All’epoca la resistenza spagnola li chiamò semplicemente traditori. La storia diede loro il nome di afrancesados e francesizzati...»: cfr. O. CHADWICK, The Popes and European Revolution, Clarendon Press, Oxford 1981, 530.
(21) Ivi, 530 s., cfr anche E. PETERS, Inquisition, cit., 278-287.


© La Civiltà Cattolica




 
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view post Posted on 3/7/2006, 16:04




Oltre il mito dell'Inquisizione.
II Parte


di Brian Van Hove S.I.


[Da "La Civiltà Cattolica" 1992, IV, quad. 3420, pp. 578-588]



Proseguendo l’analisi delle tesi di tre storici dell’Inquisizione (1), dopo Owen Chadwick, rileviamo che lo storico inglese Henry Arthur Francis Kamen non ha alcuna ragione apparente per difendere la memoria dell’Inquisizione spagnola. Egli ha conseguito il suo dottorato in Lettere a Oxford nel 1965 e nello stesso anno ha pubblicato l’Inquisizione spagnola. Specializzato in storia spagnola, 20 anni dopo ha pubblicato un nuovo studio aggiornato sull’Inquisizione dell’epoca moderna più recente dal titolo Inquisizione e società in Spagna (2). Una delle prime cose che Kamen sottolinea è come Liorente stesso fosse sorpreso di fronte alla mancanza di opposizione nei confronti dell’Inquisizione nella stessa Spagna (3). Questo fatto, che emerge dalla documentazione, può essere interpretato naturalmente in più modi: è possibile che le persone fossero solo tanto spaventate da non parlare? In proposito è però necessario prendere in considerazione due ulteriori fattori.

Il primo è che l’istituzione civile dell’Inquisizione era un tribunale alieno dalle più antiche e tolleranti tradizioni spagnole e che veniva introdotto solo in tempo di crisi. Ad esempio, era molto impopolare in Aragona, dove le libertà feudali locali autonome dall’assolutismo regio (fueros) risentivano della sua presenza. Gli inquisitori erano mal tollerati anche in Catalogna e nelle altre regioni fuori della Castiglia, proprio perché si trattava di «stranieri» (4). Ma le persone, quando sono minacciate da una situazione di crisi, possono sopportare qualsiasi cosa, perciò la «prima» Inquisizione fu tollerata, come lo furono le «successive» quando si verificarono crisi particolari.

In secondo luogo essa era considerata una misura temporanea contro gli eretici giudaizzanti, che per la maggior parte formavano il partito degli ebrei conversos (solo successivamente gli ex musulmani divennero obiettivo dell’Inquisizione) costretti dal 1391 in poi a scegliere tra il battesimo e l’esilio o addirittura la morte (5). Dopo il fallimento dello spirito di convivencia, i vecchi cristiani temettero davvero per la loro discendenza e quindi, dopo il 1480, tollerarono talvolta l’Inquisizione più nell’interesse di una «purificazione etnica» che in quello della ortodossia religiosa (6). Tutto questo può andare contro i nostri principi morali attuali, ma ha un preciso significato nella storia sociale spagnola.

Ecco cosa dice Kamen a proposito della tolleranza degli spagnoli: «Cosa pensavano gli spagnoli dell’Inquisizione? Non vi sono dubbi che in generale essi fossero suoi sostenitori. In realtà il tribunale non era un organo dispotico che veniva imposto tirannicamente, bensì una logica espressione dei pregiudizi sociali diffusi tra loro. Esso era stato creato per occuparsi di un problema di eresia e, fino a quando si riteneva che il problema esistesse, la gente sembrava accettarlo. L’Inquisizione non era probabilmente più amata o più odiata della polizia ai giorni nostri: in una società dove non esisteva nessun altro corpo pubblico di polizia la gente rivolgeva ad essa le proprie rimostranze e se ne serviva a scopo di vendetta personale. Per la stessa ragione essa era spesso oggetto di ostilità e risentimento; nonostante ciò gli inquisitori erano sempre convinti, a ragione, che la gente fosse dalla loro parte» (7).

La società spagnola era aperta o chiusa? Kamen in proposito fa le seguenti sorprendenti affermazioni: «L’immagine della Spagna come una nazione sprofondata nel torpore intellettuale e nella superstizione religiosa, ambedue dovuti all’Inquisizione, è stata giustamente confutata da Menéndez Pelayo. In realtà la Spagna era una delle nazioni europee più libere, con istituzioni politiche attive a tutti i livelli. C’era una insolita tolleranza nei confronti delle discussioni politiche e il dibattito pubblico raggiungeva livelli eguagliati solo da pochi altri Paesi» (8). Non dimentichiamo, tra l’altro, che le opere di Galileo non vennero mai messe nell’Indice spagnolo dei libri proibiti.

Dopo il 1480 l’antisemitismo in Spagna era un problema locale e la monarchia continuò, almeno per un certo tempo (9), a essere il difensore tradizionale degli ebrei, sia di quelli che non abbandonavano la propria religione sia delle comunità dei conversos. Kamen sottolinea inoltre che al finanziamento dei conversos fu anche in parte dovuto l’equipaggiamento delle navi che Colombo usò per scoprire il Nuovo Mondo. Molti conversos ricchi o famosi non ebbero mai fastidi con l’Inquisizione. Altri, come Juan Luis Vives, vivevano all’estero per evitarla. Si tratta di un argomento piuttosto delicato. Era ampiamente risaputo che quasi tutti gli appartenenti alla nobiltà avevano sangue ebraico. A partire dal XVII secolo le leggi sulla limpieza avevano effettivamente chiuso l’accesso ad alcuni posti statali e accademici alla nobiltà e, per motivi di genealogia, li avevano invece aperti alla gente comune.

Una vecchia pubblicazione cattolica afferma che l’ultima vittima dell’Inquisizione in Spagna fu un insegnante impiccato nel 1826. Alcune leggi sulla limpieza si trascinarono ancora per qualche decennio del XIX secolo. Ma va sottolineato che l’istituzione totalmente indebolita del XVIII e XIX secolo è difficilmente paragonabile a quella in vigore sotto Ferdinando e Isabella alla fine del XV secolo (10). «In breve, è probabile che oltre tre quarti di coloro che perirono a causa dell’Inquisizione nei tre secoli della sua esistenza vennero giustiziati nei primi 20 anni» (11).

La sintesi che segue è il frutto ragionato dall’accurata analisi di Henry Kamen: «L’Inquisizione non è stata l’imposizione di una sinistra tirannia su una popolazione riluttante. Essa è stata un’istituzione nata da una particolare situazione socioreligiosa, stimolata e ispirata da una ideologia decisamente veterocristiana e controllata da uomini le cui concezioni riflettevano la mentalità della maggioranza degli spagnoli. I dissidenti erano solo alcuni intellettuali e altri la cui genealogia era di per sé sufficiente a porli al di fuori dei confini della nuova società, eretta sulla base di un conservatorismo trionfante e militante» (12).

Questa nuova società è la «società del conflitti» a cui abbiamo fatto riferimento poc’anzi, quella che ha gradualmente sostituito la vecchia convivencia medievale. L’Inquisizione dev’essere compresa nei termini più ampi della storia sociale spagnola e dello sviluppo delle sue istituzioni. La mancanza di prospettiva dei primi propagandisti protestanti inglesi o anche degli apologisti ebraici contemporanei è insufficiente, in quanto essa ebbe spesso meno a che fare con la religione propriamente detta che con la politica e le rivalità fratricide. Il Papato provò di tanto in tanto — e a volte fallì nel suo intento — a mitigare gli effetti dell’Inquisizione spagnola (13). Anche il lato economico ebbe il suo ruolo, specialmente se si tiene presente che gli inquisitori, sempre alla ricerca di entrate, venivano normalmente remunerati utilizzando i proventi delle loro confische e non con un salario assegnato loro dalla Corona servendosi di altre fonti o tasse (14).

Fino a quando i temi relativi all’evoluzione della «società dei conflitti» spagnola, della «società chiusa» e della «società xenofoba e conservatrice» non verranno indagati in maniera approfondita, e finché l’Inquisizione verrà estrapolata dal contesto generale per essere analizzata in maniera distorta come qualcosa a sé stante — e Kamen sottolinea che questa operazione è appena cominciata — non sarà possibile una giusta valutazione del fenomeno dell’Inquisizione. Il termine «valutazione» è operativo, in quanto significa prendere le distanze dallo stereotipo della Leggenda Nera. Né si tratta solo di puro e semplice revisionismo. La crescente comprensione e valutazione del problema da parte degli specialisti di storia spagnola dev’essere divulgata perché non divenga uno di quei «segreti ben conservati» della storia della Chiesa e addirittura della storia del mondo.

I pregiudizi contro l’oggettività storica

Se Henry Kamen appartiene al genere di storico che «narra la storia» in modo che il passato possa essere chiarito, Edward Peters è più interessato a quell’aspetto dell’Inquisizione spagnola legato alla Leggenda Nera. Una delle cause della leggenda é la massima segretezza da parte dell’Inquisizione in materia di procedure: da un punto di vista giudiziario i tribunali dell’Inquisizione non erano né meglio né peggio dei tribunali secolari del tempo. I difetti nella procedura del Santo Uffizio sarebbero apparsi non meno evidenti nei tribunali regi quando vennero introdotte le riforme delle famose Cortes di Toledo, nel 1480. Il dato caratteristico dell’Inquisizione — la sua assoluta segretezza — era quello che la rendeva maggiormente soggetta ad abusi rispetto agli altri tribunali pubblici. Tale segretezza, sembra, non faceva parte della struttura originaria dell’Inquisizione, se alcune antiche testimonianze parlano di processi pubblici e di una prigione pubblica invece che segreta. Ma a partire dal XVI secolo la segretezza divenne la regola generale che fu imposta a tutto quanto riguardasse il tribunale. Persino le varie Istruzioni relative all’Inquisizione, anche se stampate, avevano una circolazione molto limitata che escludeva i non addetti ai lavori. Questo comportava necessariamente una ignoranza generalizzata dei metodi e delle procedure dell’Inquisizione: un’ignoranza che nel primo periodo fu di aiuto al tribunale perché creò un timore reverenziale nella mente dei malfattori, ma che nelle epoche successive suscitò sentimenti di odio e di paura basati su un’idea molto fantasiosa del suo funzionamento. L’Inquisizione fu quindi in gran parte responsabile delle calunnie prive di fondamento che le vennero lanciate contro nel XVIII secolo o prima. Il logico risultato di questa ignoranza forzata è evidente nei dibattimenti delle Cortes di Cadice del 1813, dove fu presentato un progetto di decreto per l’abolizione dell’Inquisizione. Se i sostenitori del tribunale fondavano le loro ragioni su una pretesa mistica e mitica unità che l’Inquisizione avrebbe dato alla Spagna, i suoi detrattori si basavano quasi esclusivamente sul leggendario equivoco relativo all’intera struttura e al funzionamento dell’istituzione» (15).

Da quanto detto è evidente che l’Inquisizione, in un’epoca successiva, fu il peggior nemico di se stessa e che diede adito a interpretazioni errate proprio grazie alla procedura che doveva rimanere segreta, spesso per proteggere i testimoni che si erano presentati spontaneamente. Infatti, secondo il tribunale, ne era stato assassinato un numero sufficiente da giustificare la necessità di proteggerli. Edward Peters fa uso di una terminologia che si rivela molto utile per operare distinzioni: «Quando uso il termine inquisizione (con la minuscola) mi riferisco alla funzione delle istituzioni che erano così definite, come sono state descritte dalla ricerca storica. Quando uso il termine Inquisizione (con la maiuscola) mi riferisco sempre in breve a un’istituzione specifica con una costituzione particolare (come l’Inquisizione spagnola o l’Inquisizione veneziana). Quando uso il termine l‘Inquisizione, in un modo o nell’altro mi riferisco a un’immagine, a una leggenda o ad un mito, generalmente in termini polemici. Queste distinzioni forse non soddisferanno tutti, ma rappresentano almeno un onesto tentativo di eliminare alcuni di quei pericolosi pregiudizi che spesso si insinuano anche nei più imparziali tentativi di oggettività storica» (16).
Per quello che ci siamo proposti in questo articolo, ciò che ci interessa è il discorso di Peters relativo a «un’immagine, a una leggenda o ad un mito, generalmente in termini polemici».

I riformatori protestanti e la «Chiesa nascosta»

La costruzione del mito dell’Inquisizione, secondo Peters, comincia con la necessità avvertita dai riformatori protestanti di riempire la lacuna esistente nella storia della Chiesa dal tempo dei primi martiri dell’impero romano fino alla loro epoca, il XVI secolo. Cosa era avvenuto in tutti quei secoli intermedi, quando la Chiesa di Roma dominava? Lutero e altri postularono l’esistenza di una «Chiesa nascosta», che era in realtà in continuità con le antiche comunità cristiane, in particolare con i martiri, poi con i perseguitati dalle inquisizioni medievali e infine con i martiri protestanti a lui contemporanei: L’Inquisizione era ed era stata lo strumento del loro martirio. Più tardi questa tesi venne ulteriormente ampliata dallo storico Mathias Flaccius Illyricus: «La storia della Chiesa protestante e il suo martirologio vennero sviluppati ampiamente per la prima volta nell’opera di Matthias Flaccius Illyricus (1520-1575), il più grande storico protestante del XVI secolo. Nel 1556
Flaccius pubblicò il suo “Catalogo dei testimoni della Verità”, nel quale la “Chiesa nascosta” di Lutero e del primo Calvino assumeva concretezza e specificità. Egli ribaltava l’attacco cattolico, proclamando gli eretici medievali non “eretici dell’antico” ma piuttosto testimoni ed eredi dell’apostolicità e dell’autenticità della Chiesa nascosta dal IV al XVI secolo» (17). Era emersa ed era stata codificata una nuova visione protestante della storia della Chiesa. I catari/albigesi, i valdesi, gli hussiti e altri vennero reinterpretati alla luce della teoria della Chiesa «nascosta» e della Parola pura. Naturalmente era l’Inquisizione che perseguitava la Chiesa «nascosta» in ogni tempo, persino, come è già stato accennato, potenzialmente anche oggi.

Elementi ben precisi contribuirono al consolidarsi della Leggenda Nera: l’odio verso il Papa, l’anticulto di san Domenico, il re di Spagna e i tribunali dell’Inquisizione si fusero in un tutto martirologico. La rivolta dei Paesi Bassi nel XVI secolo fornì sia ai cattolici sia ai protestanti un utile comune denominatore politico per i sentimenti antispagnoli, tradotto nel simbolo anti-inquisitoriale. I Paesi Bassi videro cosi nell’imperatore straniero la causa della loro perdita di libertà, enormemente aiutati in questo dal sostegno letterario, forte soprattutto in questa regione, di molte pubblicazioni e di una stampa tradizionalmente libera.

Grande influenza ebbe l’opera di Antonio del Corro (che scriveva con lo pseudonimo di Reginaldus Gonsalvius Montanus) «Una scoperta e una chiara dichiarazione delle varie e sottili pratiche della Santa Inquisizione di Spagna», che apparve in latino a Heidelberg nel 1567. Entro un anno essa era stata tradotta in olandese, inglese, francese e tedesco (18). Per varie ragioni il pubblico di quei Paesi accolse con entusiasmo le idee di Montanus.

La leggenda crebbe grazie anche ad altre importanti falsificazioni: «Intorno al I 570, oltre a Les subtils moyens di Montanus e alla Confessione di Augusta, circolarono anche molti falsi resoconti delle presunte macchinazioni dell‘Inquisizione spagnola per distruggere i Paesi Bassi. Alcuni di essi, aggiunti alla storia della rivolta olandese di Adam Henricpetri, furono anche tradotti in inglese in “Una tragica storia delle agitazioni e delle guerre civili dei Paesi Bassi” nel 1583. Un altro falso, composto poco dopo il 1570, pretendeva di essere un decreto dell’Inquisizione spagnola datato 16 febbraio 1568 e convalidato da Filippo II [...]. Il riconoscimento di questo decreto come falso non avvenne sino all’inizio del XX secolo, e venne accettato senza discussione da tutti i maggiori storici della rivolta olandese e della storia e peculiarità dell’Inquisizione» (19).

Infine riteniamo di dover segnalare solo un altro documento che, secondo Peters, sintetizza 40 anni di propaganda contro l'Inquisizione. Si tratta dell’Apologie di Guglielmo d’Orange, che completa il «quadro» di Montanus e insiste nell’indicare l'Inquisizione spagnola come il nemico di tutte le libertà politiche, convalidando perciò la rivolta olandese. Secondo l’autore, il re di Spagna non era che il burattino dell’Inquisizione, quindi la legittimità non veniva di per sé attaccata direttamente nella sfera politica. Inutile dire che l’Apologie, scritta da un ugonotto francese, trovò un vasto pubblico in Francia, in Inghilterra e persino in Germania (20).

Questi non furono gli unici scritti prodotti dall’ondata di propaganda scatenata contro l’Inquisizione, ma in questa sede è sufficiente ricordare che il materiale stampato tra 1548 e il 1581 divenne la fonte per tutti gli storici successivi, compreso Gerhard Brandt, che lo utilizzò per la sua Storia. Peters aggiunge: «Molte persone che erano in disaccordo su varie altre questioni si trovarono invece facilmente d’accordo sull’Inquisizione. A partire dal XVII secolo avevano creato una nuova ed efficace idea per l'immaginario collettivo occidentale» (21).


L’«età d’oro» dell’Inquisizione

Solo all’epoca di Liorente fu possibile fare sicuro affidamento sulle fonti originarie, interpretate però alla luce dei suoi radicati pregiudizi, che conquistarono al suo esilio dalla Spagna una certa notorietà. L’atteggiamento generale dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese molto difficilmente avrebbe ispirato a qualcuno la riabilitazione dell’Inquisizione! Indubbiamente per lui la fama era più importante della verità imparziale, dal momento che gli studiosi contemporanei attribuiscono a Henry Charles Lea (1825-1909) una oggettività di gran lunga maggiore (22). Come ha affermato Chadwick, Llorente stesso interpretò questi documenti in un modo che «diede all’Inquisizione spagnola l’infame reputazione che le rimase nel tempo». Ma, come abbiamo visto, non è questo il caso. La mitologia preesistente venne rafforzata da Llorente su una base diversa, le prove fornite dalle fonti originarie. Llorente non inventò la mitologia, ma contribuì a darle una continuità.

L’Illuminismo si servì dell’Inquisizione soprattutto per avversarla con il suo programma di ragione e di riforme. Il mito era già da tempo entrato a far parte dell’arte e della letteratura, spesso in modo più coinvolgente e toccante rispetto agli scritti polemici dell’epoca della rivolta olandese e degli storici protestanti. Nel XIX secolo persino scrittori tradizionalisti come Dostojevskij scavarono nella Leggenda Nera offrendoci un ritratto del Grande Inquisitore.

Neppure i cattolici furono esenti dalle seduzioni del mito, e Peters accenna a una «Leggenda Bianca»: «Se si può attribuire a Pàramo la creazione di una “Leggenda Bianca” cattolica dell’Inquisizione intesa a bilanciare le “Leggende Nere” protestanti e antispagnole, tuttavia certamente non tutti gli storici cattolici dell’Inquisizione parteciparono alla creazione della Leggenda Bianca. Nel XVIII e XIX secolo altri storici cattolici manifestarono la tendenza ad allinearsi ai metodi di studiosi appartenenti ad altre confessioni, oppure a nessun tipo di confessione, benché l’impostazione di Pàramo rimanesse un punto fermo per gli storici cattolici più conservatori e ideologizzanti nel XIX e anche nel XX secolo. All’interno dello stesso cattolicesimo il mito sopravvisse insieme all’inizio della storiografia» (23), E ancora: «Da Acton a oggi, tuttavia, molti storici cattolici e non cattolici hanno cominciato a adottare la stessa metodologia storica e hanno smesso di accostarsi alla storia dell’Inquisizione nell’ottica della leggenda Nera o Bianca. Anche se da ambedue le parti si sono verificate diverse eccezioni a questo atteggiamento generale, le conquiste storiografiche dell’ultimo decennio del sec. XIX e del XX hanno reso praticamente impossibile un ritorno al mito da parte degli storici professionisti di qualsivoglia credo» (24).

Con la pubblicazione di Una storia dell'Inquisizione del Medioevo di Henry Charles Lea nel 1887 si è aperta «l’età d’oro» della storia dell’Inquisizione. Cominciamo ora ad apprezzarla ed essa è ancora alle prime fasi. Le fonti e le metodologie sono state migliorate, i bisticci confessionali superati e le leggende messe da parte. Ma nell’immaginario popolare il vecchio mito sopravvive, sia in Europa sia in America. Fino a quando le opere di Chadwick, Kamn, Peters, Henningsen e dei loro colleghi non verranno divulgate, non saremo in grado di comprendere che proprio la nostra è l’«età d’oro» (25) di questi studi. Il frutto degli studi sull’Inquisizione non deve rimanere esclusivo appannaggio degli specialisti.

Note

(1) Cfr B. VAN HOVE, «Oltre il mito dell’Inquisizione. I», in Civ. Catt. 1992 IV 458-467.
(2) H. KAMEN, Inquisition and Society in Spain in the sixteenth and seventeenth centuries, Indiana Univcrsity Press, Bloomington 1985.
(3) Ivi, 44.
(4) Ivi, 243.
(5) Kamen afferma: «La deliberata creazione di una sindrome da crisi (aggravata dai complotti dei conversos, dall’assassinio di Arbués, dall’episodio del bambino La Guardia) e la risposta generalizzata alla grande crociata contro Granata durata 12 anni indussero le autorità pubbliche a uniformarsi e placò le proteste dei singoli. Poiché l’Inquisizione era uno strumento dei tempi di crisi, è probabile che Ferdinando non avesse alcuna intenzione di renderla permanente (ad esempio non fu fatto alcun passo per assegnarle un reddito regolare). Questa era sicuramente la convinzione dell’autore di Toledo il quale nel 1538 affermava che “se i re cattolici fossero ancora vivi, l’avrebbero riformata 20 anni fa, dato il mutamento delle condizioni”. Le prerogative senza precedenti del Santo Uffizio erano ritenute accettabili solo in quanto misure di emergenza, fino a quando la crisi non fosse passata»: ivi, 46 s. È probabile che molti degli eretici conversos non fossero mai stati catechizzati adeguatamente e questo spiega il persistere delle pratiche giudaizzanti. Alcuni illustri spagnoli invocavano l’evangelizzazione, non l’Inquisizione: ivi, 46 s.
(6) Su ciò che l’Inquisizione scoprì veramente apprendiamo che, «nei primi anni dell’Inquisizione, vennero alla luce non solo atteggiamenti giudaizzanti, ma anche messianismo da un lato e scetticismo irreligioso dall’altro; in realtà molti conversos vennero paradossalmente condannati per credenze che il giudaismo ortodosso avrebbe considerato eretiche, come la negazione dell’immortalità dell’anima. Il dissenso tra i conversos non significava perciò necessariamente che vi fosse qualche tendenza verso l’ebraismo. Le credenze degli alumbrados non avevano assolutamente nulla a che fare con quest’ultimo: La radice a cui si ispiravano era la spiritualità francescana, l'ambiente quello della comoda protezione offerta dalla nobiltà veterocristiana»: ivi, 67 s.
(7) Ivi, 256. Vi sono anche le prove che alcuni degli spagnoli più raffinati condannavano l'inquisizione e le sue pratiche: cfr. ivi, 47-49.
(8) Ivi, 99.
(9) Poiché l’espulsione degli ebrei e dei mori non era di competenza dell'Inquisizione, non tratteremo il problema in questa sede. La monarchia approvava ma le circostanze erano complesse.
(10) Cfr «Inquisition, the Spanish», in D. ATTWATER (ed), The Catholic Enciclopedic Dictionary, Cassel, London 19512, 256. Kamen dice che l’Inquisizione venne soppressa nel 1820 (H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 235) e poi soppressa di nuovo definitivamente nel 1834 (ivi, 250): «Dal 1808 al 1834, l’Inquisizione aveva potenzialmente smesso di funzionare e la sua esistenza era ridotta a mero simbolo della opposizione della Spagna a qualunque riforma — imposta dall’esterno o voluta dall’interno — che si allontanasse troppo dagli ideali spagnoli. Le sue vittime erano scomparse da lungo tempo, i suoi poteri censori erano stati assai ridotti, e il suo uso come espediente politico da molto tempo non era più necessario. Essa divenne di per sé un autodafé, un’istituzione rituale la cui esistenza aveva finito per simboleggiare la vita civile cristiana del popolo spagnolo. Pochi conoscevano la sua storia e il suo attuale funzionamento»: E. PETERS, Inquisition, University of California Press, Berkeley 1989, 104.
(11) Cfr H. KAMEN, Inquisition and Society..., cit., 42. E sul problema del terrore: «Poiché gli anni dell'olocausto dell'ultima parte del XV secolo non furono affatto rappresentativi dell’atmosfera dei rimanenti tre secoli di storia dell’Inquisizione, ogni insistenza sulla paura indotta dal tribunali deve tener presente che per lunghi periodi non vi fu alcuna paura nel senso di ansia generalizzata»: cfr ivi, 164.
(12) Ivi, 61.
(13) Ad esempio: «Nel 1546 il Papa intervenne e decretò che per un periodo minimo di dieci anni l’Inquisizione non avrebbe dovuto confiscare alcuna proprietà dei moriscos»: ivi, 105.
(14) Il sistema funzionava nel modo seguente: «Nei primi anni non vi furono certamente problemi economici. Poiché l’Inquisizione, a dispetto delle sue sembianze ecclesiastiche, era un tribunale esclusivamente regio, tutte le entrate provenienti dalle confische e dalle ammende andavano direttamente alla Corona, che in cambio pagava i salari, le spese degli inquisitori; sotto i re cattolici il Santo Uffizio fu completamente soggetto alla corona in materia di finanze. Intorno al 1540, la Suprema riferiva che gli ordini di pagamento relativi ai salari degli inquisitori nella Corona di Aragona erano sempre firmati dal re e non dall’Inquisitore Generale.
«La Corona, tuttavia, fece a tal punto man bassa delle entrate inquisitoriali che ben presto fu costretta a cercare denaro extra per i salari e per questo Ferdinando si rivolse alla Chiesa»: ivi, 149. Tale pratica generò un abuso che poteva essere previsto: «I pericoli di una tale situazione erano certamente ben presenti all’anonimo converso di Toledo che nel 1538 indirizzò un memoriale a Carlo V: “Vostra Maestà dovrebbe soprattutto provvedere affinché le spese del Santo Uffizio non siano pagate con le proprietà dei condannati, perché è davvero una cosa ripugnante che gli inquisitori non possano mangiare se non mandano qualcuno al rogo”. Purtroppo questo è esattamente ciò che gli inquisitori di Llerana furono costretti a fare»: ivi, 150.
(15) E. PETERS, Inquisition, cit., 168 s. Anche i prigionieri che venivano rilasciati erano obbligati alla segretezza: «Quando finalmente potevano lasciare il carcere, erano obbligati a prestare giuramento di non rivelare nulla di ciò che avevano visto o sperimentato nella cella: non c’é da meravigliarsi che questa assoluta segretezza abbia dato origine alle terrificanti leggende su quello che avveniva all'interno»: ivi, 173.
(16) Ivi, 7.
(17) Ivi, 128.
(18) Ivi, 133.
(19) Ivi, 152.

(20) Ivi, 153.
(21) Ivi, 154.
(22) La Storia dell'Inquisizione di Philip van Limborch del 1697 era anch’essa un’opera pionieristica accurata e imparziale, al di là delle polemiche, ma egli non ebbe accesso alle stesse fonti originarie che utilizzò Lea. Cfr ivi, 271. Per una opposta valutazione dell’obiettività di Lea e specialmente per una critica della sua competenza, cfr A. C. SHANNON, The Medieval Inquisition, Michael Glazier - The Liturgical Press, Collegeville 1991, in particolare Appendix II, 152-156.
(23) E. PETERS, Inquisition, cit., 271 s.
(24) Ivi, 273 s.
(25) Ivi, 288. Per quanto riguarda gli autori di lingua francese, va citato anche il libro di Henri Maisonnneuve: cfr Ètudes sur les origines de l'inquisition, Paris 1960 e «Le droit romain et la doctrine inquisitoriale», in Ètudes d'histoire de droit canonique, dédiées a Gabriel Le Bras, Paris 1965.


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