Il Vaticano II sconosciuto
Golpe al Vaticano II: la rottura della legalità conciliare
A cura di Vandeano2005«Ce tableau est historique ou plutôt il est symbolique. Il représente la reunion que nous avions eu avant l’ouverture du Concile où nous avons désidé de bloquer la première séance en refusant des régles tyranniques établies per Jean XXIII».
A parlare è il card. Tisserant, Decano del Sacro Collegio, mostrando al filosofo cattolico e amico di Paolo VI, Jean Giutton un quadro, raffigurante sei porporati esponenti dell’Alleanza Europea, il cartello neomodernista, minoritario nel Santo Sinodo, ma capace di stravolgere le finalità originarie del Vaticano II in senso modernizzante, antiromano, collegialista e mondanizzante.
Nella storia del Concilio che gran parte del popolo cristiano ha appreso in questo quarantennio dagli pseudo-agiografi neomodernisti, ci si è ben visti dal raccontare tutta una serie di fatti che ab initio minarono la credibilità del Vaticano II, azzerando con poche calcolate mosse e con una tattica studiata a lungo, l’ottimo lavoro delle Commissioni preparatorie e i documenti che ne erano scaturiti.
Cercheremo, cari amici di blog, di guidarvi in quello che è uno dei lati più oscuri e sconosciuti, ma pur tuttavia importantissimi del Concilio, capace di spiegare meglio ciò che è accaduto, quello che sta accadendo e ciò che avverrà nel prossimo futuro. Anzitutto si è verificato nelle prime sessioni del Concilio un vero e proprio latrocinium da parte dei neomodernisti? Sentiamo Romano Amerio:
«Gli eventi scaturiti dagli incidenti del 13 ottobre e del 22 novembre 1962 portarono effetti imponenti: rimaneggiamento delle dieci Commissioni conciliari ed eliminazione di tutto il lavoro preparatorio, onde di venti schemi non avanzò che quello della Liturgia. Si mutarono l’ispirazione generale dei testi e perfino il genere stilistico dei documenti che abbandonarono la struttura classica in cui alla parte dottrinale seguiva il decreto disciplinare. Il Concilio diventava in un certo qual modo autogenetico, atipico e improvviso.
A questo punto accade allo studioso di domandarsi se questa inopinata inflessione del corso conciliare sia dovuta ad una cospirazione pre- ed extraconciliare…». Dalle parole del card. Tisserant riportate all’inizio sembrerebbe proprio di sì, ossia che una regia occulta – ma neppure tanto – abbia voluto compiere un vero e proprio golpe ai danni dei Padri conciliari, spianando la vittoria all’ala neomodernista. Quella che lo stesso Amerio chiama la rottura della legalità conciliare.
Ma cosa era successo al Concilio il 13 ottobre 1962, anniversario dell’ultima apparizione della Beata Vergine a Fatima? Ecco le parole dell’Amerio:
«L’assemblea avrebbe in quel giorno dovuto eleggere il membri di sua spettanza (sedici su ventiquattro) delle dieci Commissioni deputate a esaminare gli schemi redatti dalla Commissione preparatoria. La segreteria del Concilio aveva distribuito le dieci schede, ciascuna con gli spazi bianchi in cui scrivere i nomi eletti. Aveva insieme provveduto a far conoscere la lista dei componenti le Commissioni preconciliari da cui erano usciti gli schemi. Il procedimento era destinato a mettere continuità organica tra la fase degli abbozzi e la fase della redazione definitiva. Questo è conforme al metodo tradizionale. Risponde anche a una quasi necessità, giacché la presentazione di un documento da nessuno può essere fatta meglio che da chi l’ha studiato, cribrato e redatto». Tutto regolare, insomma. Ma proprio per questo la fazione modernista, che vedeva così definitivamente sfumato il tentativo di far penetrare la Rivoluzione nella Chiesa tramite il Vaticano II, reagisce, rovesciando letteralmente i tavoli dell’assise conciliare.
Il vescovo di Lille, il card. Achillle Liénart, chiese la parola, in base al regolamento conciliare gli venne negata e da buon sanculotto «rompendo la legalità conciliare – ci informa Romano Amerio - (tra gli applausi di una parte dei padri), afferrò il microfono e lesse una dichiarazione: essere impossibile venire ai voti senza previa informazione sulla qualità degli eligendi, senza previo concerto tra gli elettori e senza previa consultazione delle conferenze nazionali. La votazione non ebbe luogo, la congregazione fu sciolta e le commissioni furono poi formate con larga immissione di elementi estranei ai lavori preconciliari». Si tratta del prima grande vittoria dei neomodernisti al Concilio, che assumerà una direzione sempre più tralignante. Il 13 ottobre 1962 può, senza dubbio, configurarsi come autentico discrimen nella storia del Concilio, o per dirla col sempre icastico Amerio di «uno di quei punti in cui si contrae in un istante la storia che andrà poi devolvendosi». Lo stesso Liénart, in seguito, rievocando nelle sue memorie quell’atto di arroganza golpista e partigiana avrà la protervia di attribuirlo allo Spirito Santo, bestemmiando il Divin Paraclito. Dice, infatti, il lupo travestito da pastore: «Je n’ai parlé que parceque je me suis trouvé contraint de le faire par une force supérieure en laquelle je dois reconnaître celle de l’Esprit Saint», inaugurando quella deriva carismatico-pentecostale che tanto ammorba e debilita la spiritualità cattolica postconciliare.
Ma la rottura della legalità conciliare si sarebbe ripetuta di lì a poco su uno schema fondamentale per l’argomento trattato e per le molteplici implicazioni che un approccio non ortodosso e romano avrebbe comportato per la Chiesa Cattolica. Nella XXIII congregazione venne in discussione lo schema De fontibus Revelationis. Alla piena ortodossia dello schema della Commissione preconciliare, nitidamente cattolico nel rilevare come la Rivelazione venga trasmessa in libris scriptis et sine scripto traditionibus, si contrappone il gruppo neomodernista, che volle intorbidare le acque per mera acquiescenza verso settari e protestanti, emarginando -fino a farla eclissare- la Sacra Tradizione, rifiutata da eretici e scismatici. Lo scontro fu durissimo – altro che fiori d’arancio e pacche sulle spalle, come declamano gli aedi del Concilio – fino ad arrivare ad una «proposta avanzata il 21 novembre 1962, affinché si troncasse la discussione e si rimaneggiasse lo schema. Raccolti i voti si trovò che la proposta di sospensione non raccoglieva quella maggioranza qualificata dei due terzi che il Regolamento del Concilio esigeva per tutte le questioni di procedura». Così ci informa l’Amerio. In altre parole, seguendo il mero criterio democratico, così strombazzato dai modernisti lo schema in discussione sarebbe dovuto essere quello della Commissione preparatoria, il De fontibus Revelationis. Ma colpo di scena, amici di blog!
Ecco ancora le parole di Romano Amerio: «All’indomani, all’inizio della congregazione XXIV, fu annunciato in quattro lingue oltre che in latino, che considerata la discussione troppo laboriosa e prolungata che si prevedeva il Santo Padre Giovanni XXIII aveva deciso di far rifondere lo schema da una nuova Commissione, per renderlo più breve, e per far meglio spiccare i principi generali, definiti dal Tridentino e dal Vaticano I».
Ma questo fu un autentico golpe ai danni del Concilio e della Verità Cattolica! Una rottura della legalità conciliare, foriera delle devastazioni dottrinali e dell’ermeneutica della discontinuità di cui ha parlato il Regnante Pontefice Benedetto XVI. Giovanni XXIII, infatti, era ben conscio da navigato diplomatico quale era che la prosecuzione della discussione dello schema De fontibus Revelationis, stante i primi risultati, avrebbe visto prevalere la lectura ortodossa e romana della doppia fonte della Rivelazione, salvando contro infiltrazioni settario-protestantiche la Verità Cattolica su un punto cruciale di dottrina. Doloso o meno, l’atto papale rappresentò un regalo ai neomodernisti.
Così si esprime Romano Amerio: «Nei termini in cui avvenne, l’intervento papale costituisce una tipica sovrapposizione del Papato al Concilio, tanto più notevole in quanto il Papa fu presentato allora come tutore della libertà del Concilio. Questa sovrapposizione non è un motus proprius, ma conseguita a rimostranze e sollecitazioni che trattando la maggioranza qualificata, richiesta dal Regolamento come una finzione giuridica, le passava sopra per far riconoscere al Papa il principio puro della maggioranza». In altri termini, Giovanni XXIII si faceva strumento o mefistofelico connivente dell’ala modernista per avallare il falso collegialismo anticuriale e anticattolico-romano, che sarebbe scaturito dai principali documenti conciliari, e da lì esondato sulla chiesa postconciliare, con il triste deserto d’indisciplina e sovversione episcopale contro la Cattedra di San Pietro, di cui i recenti episodi di cronaca socio-ecclesiale non sono che l’ennesima triste conferma.
Con due colpi da maestro satana era penetrato nel Concilio e l’allegra conventicola dei modernizzanti e modernisti da Liénart a Frings, da Döpfner, Alfrink a Montini e Léger poteva spalancare le porte della mondanizzazione, della protestantizzazione della Chiesa Cattolica. Gli intenti erano chiari e ce li riassume il sempre competente Amerio: «[Tale messaggio] svolgeva questi motivi: che il mondo moderno aspira al Vangelo, che tutte le civiltà contengono una virtualità che le spinge al Cristo, che il genere umano è unità fraterna al di là delle frontiere, dei regimi e delle religioni, che la Chiesa lotta per la pace, lo sviluppo e la dignità degli uomini». Il testo, intriso d’antropocentrismo mondanizzante e circiteristico, fu votato il 20 ottobre 1962. Così esultava il neomodernista e indegno figlio di San Domenico, p. M-D. Chenu: «Le message saisit efficacement l’opinion pubblique par son existence meme. Les pistes ouvertes furent presque suivies par le deliberations et les orientations du Concile».
E così il fumo di Satana cominciava a penetrare nella Chiesa; chi doveva vigilare non guardava o si faceva complice del nemico e cominciava, già da questo golpe neomodernista ad inizio-Concilio, quella crisi della Chiesa e del mondo – quando la Chiesa va male; il mondo va male – dalla quale con fatica cerchiamo di uscire oggi. Aveva proprio ragione la Beata Vergine Maria a mettere in guardia a La Salette e a Fatima sull’apostasia e il tradimento dei chierici. Ma si sa, c’era chi si credeva più buono di Nostro Signore Gesù Cristo ed osava definire la Sua Augusta Madre un profeta di sventura. Sta di fatto che le profezie mariane si sono e si stanno avverando drammaticamente, l’ottimismo spurio di certuni è ormai archiviato come uno dei più gravi errori della storia umana.
Memento:
«Sono le stravaganze di questo post-concilio. Tutti ci si immette nel “solco del Concilio”, spesso…affogando nella mota»
(Mons. Francesco Spadafora)
«Non è accontentando il nemico, che lo si vince»
(Mons. Pier Carlo Landucci)
«Si rompe una maglia del ricamo e il buco fatalmente si allarga sempre più»
(Beato card. Ildefonso Schuster)