Pericoli del nostro tempo:La cosiddetta etica della situazione o della circostanza.
Di P. Alfredo Boschi, S.J.
Premessa
Il 2 febbraio di quest’anno [1956] il S. Uffizio indirizzava «a tutti gli Ordinari, ai Professori dei Seminari, degli Atenei o Università ed ai Lettori degli Studentati dei Religiosi» un’importante «Istruzione» sulla cosiddetta morale della situazione. «Contro la dottrina morale tradizionalmente insegnata nella Chiesa Cattolica, ha cominciato a diffondersi in molti Paesi, anche tra i Cattolici, un sistema etico, a cui generalmente si dà il nome di una certa “Morale della situazione”». «Per allontanare il pericolo della Nuova Morale, nonché per difendere la purezza e sicurezza della dottrina cattolica, questa Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio proibisce che questa dottrina della Morale della situazione, con qualsiasi nome essa venga chiamata, sia insegnata o approvata nelle Università, Atenei, Seminarti e Case di formazione, o in libri, articoli e conferenze, oppure essa venga diffusa e difesa in qualsiasi altro modo».
Mentre accogliamo riconoscenti, con piena adesione di mente e di cuore, questo venerato documento della Santa Sede, la sua evidente importanza e attualità spiegano più che a sufficienza, che tale argomento venga da noi ora presentato ai sacerdoti e ai fedeli cattolici. Non devo forse gli insegnamenti pontifici stare alla base del nostro magistero, appresi da noi con intelletto d’amore?
Morale della situazione o, come viene pure chiamata, morale o etica della circostanza, esistenzialismo etico, attualismo etico, individualismo etico: quali sono le sue teorie, così da costituire una pretesa «morale nuova»?
Oltre alla citata Istruzione del Sant’Uffizio, di essa aveva già parlato il Papa, il 18 aprile 1952, in un discorso tenuto alle partecipanti al Congresso Internazione della Gioventù Femminile di A.C. (A.A.S. XLIV[1952]). Sarà soprattutto basandosi su questi due documenti, che noi cercheremo di dare un’idea, al possibile chiara e precisa, di questa nuova morale.
Nozione di Morale della situazione.
L’elemento essenziale e caratteristico della nuova etica sta in questo, ossia che l’atto della coscienza, col quale noi giudichiamo, caso per caso, buona o cattiva, da fare o possibile e lecita a farsi oppure, invece, da non fare, una data azione concreta, non si appoggia o richiama ad alcun principio, legge o norma di valore universale, come sono ad esempio i Dieci Comandamenti, i Precetti della Chiesa e, più genericamente, i principi morali e le varie disposizioni della legge naturale e positiva. Non è propriamente che – almeno apertamente e da tutti – si neghi senz’altro tutto ciò; ma esso non interessa e non viene preso in considerazione né, certamente, influisce sulla coscienza come premessa razionale da cui questa può e deve trarre le logiche conseguenze applicazioni nel suo caso particolare. Oltre tutto, qualsiasi norma di valore oggettivo e assoluto sarebbe qualcosa di estraneo all’atto della coscienza – contrario, quindi, all’interiorità propria di esso – e importerebbe un’imposizione o intrusione intollerabile per l’uomo conscio della propria dignità e libertà.
Ciò che unicamente conta è la coscienza individuale, sola giudice sovrana di ogni situazione. Tutto si compie e si risolve in essa e in essa soltanto, indipendentemente da qualsiasi norma morale oggettiva di valore oggettivo e assoluto. La coscienza è al di sopra di tutto, ed essa sovrasta, anche di fronte a Dio, al precetto ed alla legge. La coscienza, con atto sovrano, conoscendo e valutando di volta in volta le condizioni o circostanze concrete in cui deve agire (condizioni e circostanze che creano una situazione del tutto diversa da individuo a individuo ed anzi, in ciascun individuo, diversa di volta in volta), decide e sceglie, formula e s’impone la norma da seguire con decisione attiva e produttrice, non già passiva o recettrice di principi o leggi morali.
Ne consegue una morale eminentemente individualistica e soggettiva. «Nella determinazione di coscienza – dice papa Pio XII – l’uomo singolo s’incontra direttamente con Dio e dinanzi a lui delibera, senza nessun intervento e in nessuna maniera, di qualsiasi legge o autorità, o comunità, o culto o confessione. Esiste soltanto l’io dell’uomo e l’Io del Dio personale; non del Dio della Legge, ma del Dio Padre, al quale l’uomo deve unirsi con amore filiale. Vista così la decisione di coscienza è, dunque, un rischio personale, secondo la conoscenza e la valutazione propria, in piena sincerità davanti a Dio. Queste due cose, la retta intenzione e la risposta sincera sono prese in considerazione da Dio; l’azione non gli importa nulla».
Per riuscire più concreti, faremo qualche esempio, proposto dal Santo Padre stesso nel citato discorso.
«Se – egli dice, riferendo i postulati della nuova morale – la coscienza rettamente formata stabilisce che l’abbandono della Fede Cattolica e l’adesione ad un’altra confessione conduce più vicino a Dio, tale passo si troverebbe giustificato, anche se esso viene comunemente qualificato come defezione dalla fede. Oppure, nel campo della morale, il dono di sé corporale e spirituale, tra giovani. In tal caso, la coscienza seriamente formata stabilirebbe che, in forza della sincera inclinazione mutua, sono ammesse le familiarità del corpo e dei sensi e queste, benché consentite solo tra sposi, diventerebbero manifestazioni permesse. La coscienza illuminata odierna stabilirebbe così, perché dalla gerarchia dei valori essa deduce il principio che quelli della personalità, essendo più alti, possono servirsi di quelli inferiori del corpo e dei sensi e anche metterli da parte, secondo che suggerisce il caso particolare. In forza, appunto, di questo principio, si è pure preteso con insistenza che, in materia di diritto coniugale, bisognerebbe, in caso di conflitto, affidare alla coscienza seria e retta degli sposi, a seconda delle esigenze e delle circostanze concrete, la facoltà di rendere direttamente impossibile l’effettuazione dei valori biologici, a vantaggio dei valori della personalità».
Così, conclude il Papa, con perfetta logica consequenziale si arriva al punto «di mutare la Fede Cattolica con altri principi, di divorziare [permissione della piaga sociale del divorzio N.d.R.], d’interrompere la gestazione [permissione dell’abominevole delitto dell’Aborto N.d.R.], di rifiutare obbedienza all’autorità competente nella famiglia, nella Chiesa, nello Stato e così di seguito». A questi «venefici frutti», come li chiama il Santo Padre, porta e non può che portare l’esasperata autonomia individualistica della coscienza, che costituisce il mito intoccabile della morale della situazione.
È triste dover constatare come simili errori e deviazioni abbiano potuto infiltrarsi e venir accolti da ambienti e autori cattolici. Ma il fatto è innegabile, e sarebbe agevole portare citazioni e prove da noi stessi più volte riscontrate, e anche apertamente denunziate, in libri e scrittori di morale, particolarmente matrimoniale.
CONTINUA…