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Reality show

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aragorn88
view post Posted on 28/10/2010, 15:56




Reality show: capire per vincere

Premessa:
Ci siamo decisi a postare questo intervento sui reality show dopo gli sviluppi tragici della vicenda di Sarah, dal momento che il Moloch massmediatico tende ad indirizzare le coscienze in senso rivoluzionario e contra familiam naturalem. No, signori! La responsabilità è proprio del letame culturale e amorale del tardosessantottismo, di cui i reality show non sono che una delle tante espressioni escrementizie e coprofagiche


Il reality show è un genere di programma televisivo in cui sono trasmesse situazioni drammatiche e umoristiche che non sono dettate da un copione, ma che i protagonisti sperimentano esattamente come se fosse la loro vita reale


Ogni anno in televisione riparte il Grande Fratello, seguito a ruota dall’Isola dei Famosi, dalla Fattoria etc… A dieci anni di distanza dalla prima edizione (il 14 settembre 2000 ebbe luogo la prima puntata italiana del Grande Fratello) questo genere di trasmissioni sembra non conoscere crisi: gli indici di ascolto rimangono alti, la pubblicità paga, dunque si continua! Non mancano le critiche severe, non solo dal mondo cattolico, ma pure da quello laico, ma gli organizzatori non se ne curano, anzi! La riprovazione di cui questi programmi son o oggetto costituisce un’ulteriore fonte di pubblicità.

L’idea è nata nel 1999 in Olanda
Il padre di questi programmi è il produttore olandese John De Mol, che propose questo esperimento: un gioco ad eliminazione tra concorrenti in cui non contano primariamente la competenza fisica o intellettuale, ma la capacità di reggere una situazione estrema, di segregazione, rapportandosi con gli altri e con il pubblico televisivo. Il titolo si ispira al libro di George Orwell “1984”, che descrive una società totalitaria, dominata da un dittatore che attraverso un sistema di telecamere-spia tiene sotto controllo la vita di tutti i cittadini. Lo slogan del romanzo era: «Il Grande Fratello vi guarda».
Si tratta di un’evidente caricatura laicizzata di Dio e del suo sguardo onnisciente. Di Dio il Grande Fratello ha anche l’onnipotenza: «Il Grande Fratello ha deciso» è l’espressione di una volontà sovrana, cui nessuno dei concorrenti può sottrarsi. In tutto questo il pubblico ha una sorta di potere di controllo e per questo lo spettatore, specie se telefona, si sente protagonista. O forse, come qualcuno suggerisce, lo spettatore, mentre guarda senza essere visto la vita di altri uomini, si sente al posto di Dio.
Mondo irreale, di eterna vacanza.

Ricordiamo le regole del gioco: persone di varia estrazione sociale e culturale sono chiamate a vivere insieme per un periodo definito di tempo – alcuni mesi di solito – in un ambiente chiuso, che non permette comunicazioni con l’esterno se non attraverso i collegamenti televisivi. Non ci sono tv, radio, giornali, libri. Si tratta,dunque, d’inventarsi una vita, intessere relazioni con gli altri ospiti: relazioni di amore-odio, perché si tratta di farsi accettare dal gruppo e contemporaneamente contribuire all’eliminazione via via degli altri concorrenti, per vincere il premio finale.

La scomparsa dell’intimità.
Secondo Umberto Galimberti (che certo non ci è vicino per posizioni ideologiche) il successo dei reality è il sintomo della scomparsa della differenza tra pubblico e privato, tra interiorità ed esteriorità. É la scomparsa del pudore, inteso come difesa della propria intimità: non solo la sfera sessuale, ma il mondo dei sentimenti, l’identità della persona, la sua vera libertà. Nel grande pubblico c’è una curiosità morbosa: quella che spingeva gli antichi ad interessarsi della vita degli dei o dei sovrani. Luigi XIV, ad esempio, ammetteva ogni mattina un ristretto numero di persone ad assistere al suo risveglio e alla sua toilette. La stessa curiosità morbosa stimola oggi il desiderio di conoscere nei segreti più reconditi la vita quotidiana di uomini e donne comuni.
Scomparsa l’intimità, nasce il bisogno di “pubblicità”: molti giovani scambiano la loro identità con la pubblicità dell’immagine. Per essere bisogna apparire. L’individuo non cerca più se stesso, ma l’immagine che lo costruisce. Il sogno più alto e segreto di tantissimi giovani è diventare famosi grazie alla televisione. Ma già i bambini sono affascinati da questa prospettiva. Nel Natale del 2005 fu chiesto ad un campione di 1200 bambini dai 4 ai 10 anni quale fosse il regalo più bello che potessero ricevere da Babbo Natale. Il 37% rispose: «Apparire in televisione!»

La scomparsa della vergogna
La mistificazione del sacro più deleteria è forse la “confessione”, intesa non come confronto segreto con Dio attraverso un suo ministro, ma come rivelazione al pubblico della propria intimità. La spudoratezza viene spacciata per sincerità, perché non c’è e non ci deve essere nulla da nascondere. Non c’è più vergogna. La parola deriva dal latino vereor gognam (=ho paura di essere messo alla gogna, di essere esposto al pubblico con la colpa che ho commesso). Nei reality la vita privata sparisce, tutto è pubblico, dal corpo ai sentimenti.

Il tradimento dell’amicizia.
Le dinamiche dei reality sono anche la spia del modo in cui viene intesa l’amicizia: un sentimento forse anche sincero e profondo, ma passeggero e basato sulla convenienza. I rapporti interpersonali vengono consumati non solo dal logorio implacabile della vita, ma dalla regola della convenienza: si torna al bellum omnium contra omnes(=la guerra di tutti contro tutti) perché alla fine ci sarà un solo vincitore. Nemmeno l’ombra di quella che dovrebbe essere l’amicizia vera, fondata sulla gratuità, la stima vicendevole, l’apprezzamento anche del diverso da me, che grazie alla relazione può arricchirmi interiormente, sulla valorizzazione dell’altro, non sulla sua eliminazione.

Non c’è spazio per gli altri e per Dio.
Nei reality il privato domina interamente la scena. Contano le biografie dei singoli, ma in esse non c’è traccia d’impegno sociale. Ecco un’analisi spietata della Civiltà Cattolica: «Non un sogno, non il desiderio di pensare ai più deboli, non un progetto per costruire un futuro migliore…Le piazze in cui ci si incontrava di persona per decidere la vita del Paese sono sostituite dalle telecamere, che legittimano la sfera privata»(q. n3790 p.345). Alle solite lobbies occulte le vere decisioni, alla massa il venefico panem et circenses di romana memoria.
Anche la dimensione religiosa è sostanzialmente assente dalla vita dei protagonisti: dove arriva l’occhio del Grande Fratello non c’è più posto per Dio. Meno che meno per il Dio che cammina nella storia degli uomini, che condivide le loro sofferenza e asciuga le lacrime vere, quelle che sgorgano nel segreto, che lotta contro l’ingiustizia, che ci promette la vita vera, ossia quella eterna, che chiama ad essere protagonisti. Protagonisti della propria vita, non della sua caricatura.


 
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