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Lo sbandamento dei giovani cristiani

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aragorn88
icon5  view post Posted on 3/4/2006, 01:28




Lo sbandamento dei giovani cristiani*


di Eugenio Corti.

(inizio 1970)

*Eugenio Corti, Il Fumo nel Tempio, ed. Ares, Milano, p. 9.


Un articolo di padre Enrico Bartolucci apparso nell'ultimo numero (gennaio 1970) della rivista comboniana Nigrizia, ha richiamata la mia attenzione su un libro di argomento missionario, recentemente pubblicato da una casa editrice cattolica. Mi sono procurato il libro, che ha per titolo La lezione dell'Uganda. Come padre Bartolucci scrive, i missionari vi sono accusati di essere stati (e per quanto possibile di essere tuttora) schiavisti, razzisti, colonialisti, amici degli sfruttatori, ed altro ancora. Non vado oltre per evitare al lettore l'irritazione che ho sperimentato io. Alla fine s'impone la domanda: perché gli autori, che si professano cristiani, e si definiscono "un gruppo di giovani universitari, o da poco usciti dall'università" (p. 9) hanno scritto simili cose?
Appunto a questa domanda vorrei cercare di rispondere, non sembrandomi giusto che i missionari siano lasciati soli a difendersi, e a difenderci, da imputazioni infamanti che investono tutta la Chiesa.
A me sembra che quei giovani autori - sebbene in buona fede si reputino cristiani, e anzi finalmente, dopo duemila anni, veri portatori di Cristo al mondo in realtà si sono nel loro intimo lasciati permeare da una cultura anticristiana ben individuabile: quella che risale all'illuminismo, nella sua attuale versione marxista. Dal marxismo essi hanno preso oltre ai concetti anche la terminologia: perciò nel loro libro non parlano mai di peccato originale, e invece continuamente di "alienazione" e di "contraddizione"; e se per caso gli esce dalla penna il termine "peccato", si affrettano (come a p. 14) a stabilirne l'equivalenza con lo "sfruttamento" e col "capitalismo". Della missione in particolare essi hanno un’idea non già evangelica ("euntes docete"), ma classista: cioè della base (in conclusione il proletariato, il vero Messia) che insegna tutto a tutti. Lo si veda a p. 9: in sostanza le popolazioni dovrebbero insegnare all'apostolo, il gregge guidare il pastore. Potremmo fare anche altre citazioni analoghe.
Quanto al comportamento pratico di quei giovani, lo stesso padre Bartolucci - che li ha potuti osservare in Africa - ce lo descrive mentre svolgevano la loro indagine: "Nell'estate 1967 dieci studenti e un sacerdote del gruppo vennero in Uganda e visitarono per un mese le missioni comboniane del nord, discutendone i problemi tra di loro e, qualche rara volta, anche con i missionari". Difficilmente si potrebbe tracciare in modo più appropriato un bozzetto di comportamento marxista... Con la conclusione: "È evidente che i giovani autori avevano già imbastita la 'lezione' che volevano ammannircì prima ancora di andare in Uganda. In Uganda ci sono andati per comprovare le tesi già stabilite a tavolino nelle assemblee giovanili".
E, puntuale, il comportamento dei teorici marxisti grandi e piccoli: chi conosca anche solo superficialmente le vicende russe dell 'ultimo cinquantennio, sa che tale atteggiamento non cambia neppure quando quei teorici vedono le loro teorie clamorosamente smentite dalla realtà: se la storia non si adegua alla dottrina, essi non pensano affatto che si dovrebbe correggere la dottrina: correggono la storia, o quanto meno i libri di storia, inzuppandoli di menzogne. L'hanno fatto parecchie volte. (A guardar bene anche gli autori de La lezione dell'Uganda hanno fatto qualche 'correzione' simile: che altro sono in fondo quelli che il p. Bartolucci chiama con indulgenza 'errori', come la dichiarazione, a p. 120, che il salario dei lavoratori ugandesi è di tre sterline l'anno, mentre in realtà chi lavora ad esempio per il governo percepisce sei sterline il mese? O la dichiarazione, più volte ripetuta, che gli inglesi si appropriarono delle terre migliori, quando in realtà, essendo l'Uganda un protettorato, gli inglesi per legge non poterono possedervi terre? E la falsa affermazione dell'imposizione agli ugandesi di una monocultura agricola? Così dicasi per diverse altre disinvolte 'correzioni della realtà presenti nel libro).
Noi riteniamo di poterci spiegare perché quei giovani autori siano arrivati a mescolare il marxismo col cristianesimo. Una delle più gravi mancanze di noi cattolici, negli ultimi anni, non è stata forse l'abbandono dell 'impegno culturale? Certe nostre pazzesche smobilitazioni, cui si accompagna il crescente disinteresse dei mass media cattolici verso i pochi fra noi che continuano, sempre più solitari, a lottare contro le culture anticristiane, si tratti di illuminismo vecchio stampo o di marxismo. In seguito a ciò nel campo della cultura - come anche, a livello più terra terra, dell'informazione - i giovani non sentono ormai quasi altro che discorsi non cristiani. Inoltre, specialmente i più giovani, finiscono con l'ignorare il fallimento - indubbio e pieno - del marxismo (nonostante l'attuale potenza militare di Russia e Cina) là dove sì è tentato di realizzarlo.
Per questi ragazzi le loro marxistiche scoperte costituiscono qualcosa di nuovo e vitale, e quindi d'esaltante. Esaltante al punto che gli pare implicito debbano riuscire tali anche per i missionari che le udranno da loro, anche se si rendono conto (come scrivono a p. 13) che "un gran numero di missionari si sentiranno oggetto di violenza e dovranno... vedere come la loro opera è stata troppo spesso e per troppi lati non distinguibile dall'azione di regimi sfruttatori e schiavizzanti". Da questo libretto dunque dovrebbe venire illuminazione a "un gran numero di missionari". Gli autori non sospettano che l'analisi illuminante cui sono arrivati è vecchia e risaputissima, in quanto deriva dall'analisi leninista dell'imperialismo, risalente all'ultimo periodo di Lenin, quando ormai il vecchio, spietato ideologo aveva cominciato a dar di testa nel fallimento delle teorie sue e di Marx. Appunto perché non aggiornati, questi ragazzi insistono ancora tanto sul termine "contraddizione", ignorando che quel termine, molto in auge agli inizi, è poi fortemente scaduto nella terminologia marxista da quando Crusciov ha constatato che nelle società socialiste le "contraddizioni" non scompaiono affatto. (Stalin aveva anzi implicitamente riconosciuto che esse si incrementano, allorché aveva formulata la sua famosa teoria: "Quanto più ci si avvicina alla costruzione del comunismo, tanto più la resistenza dei nemici interni alle società socialiste aumenta": che è in fondo una delle tante confutazioni del marxismo da parte della realtà.)
Noi non possiamo soffermarci qui, se non brevissimamente, sull'incompatibilità tra cristianesimo e marxismo-comunismo. Per quest'ultimo l'uomo - che è solo materia, e non ha altro Dio all'infuori di sé - si riscatta instaurando determinati rapporti sociali nella produzione dei beni materiali, nonché esercitando una determinata meccanica di violenza sulle classi sociali corrotte dai precedenti rapporti di produzione sbagliati. Ovviamente tale visione respinge il peccato originale e la conseguente corruzione della natura umana. (In realtà, per chi sappia vedere, proprio l'esperienza comunista ha portato nel nostro tempo a una grande riscoperta storica del peccato originale: a causa infatti della natura dell'uomo che si è mantenuta corrotta nonostante tutti gli adempimenti prescritti dalla dottrina, nelle società socialiste non s'è verificata una sola delle condizioni che dovrebbero caratterizzarle. Per la persistente criminalità non vi si è potuta abolire la polizia, né, per la persistente brama di potere, la burocrazia, né a causa del persistente egoismo individuale, si è avuta la parificazione degli stipendi, né, per l'egoismo nazionale, l'abolizione degli eserciti, neppure nei rapporti tra gli stati socialisti.)
Respingendo, come s'è detto, il peccato originale, i marxisti-comunisti fanno risalire alle 'classi sfruttatrici', la responsabilità della miseria, dell'ignoranza, della corruzione e quasi di ogni male umano: per questo fomentano e scatenano metodicamente contro quelle classi il loro odio messianico, che tanti milioni di morti ha già prodotto: "l'odio, il nobile odio proletario, il principio d'ogni saggezza" (Lenin). È chiaro che non può esserci composizione tra il cristianesimo, che è amore, e tale odio.
L'incompatibilità tra cristianesimo e marxismo appare del resto anche nel comportamento dei nostri giovani autori, i quali dopo aver dichiarato cristianamente (p. 146): "il rapporto che intercorre tra i convocati alla comunione è la carità, in questo senso la missione rappresenta lo spazio creato dalla carità", come pronta dimostrazione di carità rivolgono ai missionari le accuse infamanti che abbiamo elencato.
Mi si potrebbe a questo punto chiedere se anch'io non stia peccando di poca carità verso quei giovani. Francamente non ho tale preoccupazione. Oltre tutto se anche qualcuno di loro leggesse queste righe, non verrebbe neppure sfiorato dalle loro argomentazioni. È infatti comportamento automatico dei marxisti un vero riflesso condizionato incasellare nel proprio cervello, in una delle tante disponibili categorie di "reazionari", chiunque confuti la loro dottrina. Trasformato così l'interlocutore in una etichetta, non ne possono più prendere in considerazione gli argomenti: cosa potrebbe dire di sensato un'etichetta?
Resterà da vedere fino a che punto questa confusione di cristianesimo e marxismo prenderà piede fra noi, che incidenza essa assumerà. E con che danno per la Chiesa... Che un tale fenomeno abbia luogo dopo il pieno fallimento sul piano storico del comunismo, dalla Chiesa fino a ieri coraggiosamente e con tanti sacrifici combattuto, è paradossale fino alla strazio: e tuttavia oggi siamo a questo...
Vorrei porre da ultimo una domanda d'ordine pratico ai missionari: se ritengano un bene per le Chiese africane accogliere in visita simili contestatori, i quali si adoperano a riempire anche in Africa la testa della gente coi loro errori d'accatto. A me non sembra che a quelle giovani Chiese giovi discutere e disquisire con questi sedicenti illuminatori, mentre i pastori più solerti delle Chiese stesse si dimostrano molto preoccupati per ciò che sta accadendo in Europa. Ho qui davanti le parole del vescovo africano mons. Yungu di Tshumbé nel Congo (su Mondo e Missione - gennaio 1970, p. 13): "Dalle informazioni che ci giungono in Africa, abbiamo l'impressione che l'Europa stia distruggendo quanto ha sempre venerato, per venerare quanto ha distrutto... La
logica vorrebbe che anche noi ci impegnassimo nella contestazione, ma ben più radicale. Si tratterebbe infatti di mettere in discussione la nostra appartenenza a quella Chiesa propostaci dall'Europa, e nella quale l'Europa stessa comincia a non credere più...". Conclude: "Solo vorremmo che qualcuno pensasse all'angoscia e alla sofferenza che questo stato di cose causa a molti cristiani del Terzo Mondo".
Per quanto concerne noi laici (lasciando ai pastori i loro compiti) a me sembra veramente tempo che si esca dall'inerzia in cui troppi di noi sono entrati da alcuni anni, e ci si impegni di nuovo tutti insieme in un energico e serio lavoro culturale. Non vedo altro modo per mettere fine allo sfascio in corso.



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