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Quando L'Italia sognava il tredici, 60 anni di Totocalcio

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aragorn88
icon6  view post Posted on 19/4/2006, 14:56




LE STORIE
Sessanta anni fa nasceva la schedina, dispensatrice di emozioni per generazioni di scommettitori, ansiosi di vincere quanto quelli di oggi ma certo più naïf. Un rito che ha scandito i fine settimana di un Paese incollato alla radiolina


Quando l’Italia sognava il tredici.



Enrico Ruggeri racconta il totocalcio«Per tutta la vita mio padre giocò la stessa colonna, la ricordo ancora a memoria Non è mai uscita. Oggi, 23 anni dopo la sua morte, quando vedo i risultati controllo se avrebbe vinto, e gli rivolgo uno dei tanti pensieri che vanno a lui ogni giorno. La schedina andava compilata con cura, circolavano leggende su persone che per errori di copiatura avevano perso vincite favolose»


Di Enrico Ruggeri.

Avvenire
Domenica 9 aprile 2006.

Per anni le persone meno giovani hanno continuato a dire: «gioco alla Sisal», così come dicevano «devo pagare la Sip». È difficile abituarsi al mondo che cambia. Quando ero bambino, e anche negli anni successivi, le due grandi illusioni erano il Lotto e il Totocalcio. Quasi tutti giocavano, ma non conoscevo mai nessuno che avesse vinto. Oggi abbiamo l’imbarazzo della scelta, prima sono arrivate le varianti, il SuperEnalotto, il Totogol, poi, allineandosi ai paesi europei, possiamo ormai giocare su tutto: le singole partite, il numero di gol, i campionati stranieri, perfino il festival di San Remo o il sesso di qualche principe ereditario. E anche il Totocalcio è cambiato, non più tredici ma quattordici risultati, con incursioni in Spagna e Germania, Inghilterra, perché tra anticipi, posticipi e campionato di serie B che gioca quando capita è sempre più difficile trovare 14 partite che si giochino lo stesso giorno. È con inevitabile nostalgia, quindi, che scrivo queste righe che devono celebrare 60 anni del gioco più popolare del dopoguerra. E non posso che ricordare quel Totocalcio, con le ricevitorie che chiudevano il sabato pomeriggio. La schedina andava compilata in tre parti, bisognava stare attenti a non sbagliare: circolavano leggende metropolitane su persone che per un errore di copiatura avevano perso vincite favolose. Uno dei momenti in cui ho capito che stavo crescendo e che diventavo una persona con delle responsabilità fu quando mio padre mi autorizzò a compilare per intero la famigerata schedina. Dietro c’era lo spazio per la firma, ma non andava mai messa «perché se no il fisco si porta via tutto». Chi giocava al Totocalcio doveva avere la radiolina, possibilmente con l’auricolare.
«Il calcio minuto per minuto» cominciava coi secondi tempi, per cui c’era subito il tuffo emozionale di sentire «Qui Bergamo, Atalanta uno, Inter... due» e quei pochi secondi sembravano interminabili. «Abbiamo otto, ci mancano Juventus, Napoli, Sampdoria, Pro Patria e Case rtana!». E via a sperare nella concomitanza dei risultati, salendo e scendendo nel punteggio a ogni «Scusa Ameri». C’erano sempre due partite di serie C, e lì si andava un po’ a caso, uno ics o qualcosa di più strano «per la quota». Non era facile vincere: mio padre giocò per tutta la vita la stessa colonna, che ricordo ancora a memoria. Non è mai uscita, e anche se non gioco quasi più ancora oggi, a 23 anni dalla sua morte, quando vedo i risultati controllo se avrebbe vinto e gli rivolgo uno dei tanti pensieri che vanno a lui nel corso della giornata. E nel rimpiangere lui rimpiango quei tempi che avevano dentro il sapore arcano del destino.
A un certo punto della mia vita ho deciso che il mio amore per il calcio, che mi ripagava molto poco come tifoso (sono interista) doveva essere ripagato in qualche modo. Per ingraziarmi gli astri ho scelto un partner juventino, il mio manager storico Silvio Crippa, e ho cominciato a giocare seriamente: sono diventato un sistemista. Ho raggiunto una grande dimestichezza su sistemi ridotti, condizionati, alternati e così via. Il risultato per qualche anno è stato qualche tredici e molti dodici, ma solo quando vincevamo tutti. La spesa era superiore al guadagno e il responso era sempre lo stesso: quando vincevamo venivamo stroncati dalla frase «quote popolari».
Una volta andò peggio: un sabato pomeriggio, non trovando Crippa (non c’erano ancora i cellulari) decisi di cambiare arbitrariamente due risultati concordati precedentemente perché mi sembravano troppo azzardati. Passammo da tredici a undici, e non fu facile dare a Silvio la notizia.
Quando mi chiedono lumi sul fatto che io non abbia mai cambiato produttore capisco che non conoscono questa storia. Ma il giorno della vincita era ormai vicino, il 17 gennaio 1988. Avevamo giocato una schedina molto coraggiosa e il destino fu dalla nostra parte: un tredici e otto dodici con cinque due in schedina. Non c’erano ancora anticipi e posticipi, la notizia arrivò per radio, e a «No vantesimo minuto» parlavano di «quote molto interessanti per i fortunati tredicisti».
Passano più di quattro ore nelle quali mi immagino miliardario, con interviste al tabaccaio e soldi da sperperare. Poi arriva la Domenica Sportiva: «delusione per i vincitori», le quote sono ben diverse, e ci dobbiamo «accontentare» di una quarantina di milioni a testa! Ecco cos’è l’animo umano: se me lo avessero detto la domenica mattina sarei stato felicissimo, ma dopo le aspettative della giornata mi sentivo come se avessi perso dei soldi! La morale è che per giocare a qualsiasi «gioco di soldi» è fondamentale avere testa sulle spalle e rispetto per il denaro: il mio non fu un atteggiamento edificante, ma la mia ingordigia venne giustamente punita. Auguri, vecchio Totocalcio, rimani il sogno che tutti abbiamo inseguito. Con la speranza di veder tornare te e anche il nostro paese a quella ingenuità che oggi è così difficile da respirare in mezzo a questo cinismo arrivista.





 
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easexoche
view post Posted on 23/1/2010, 09:28




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1 replies since 19/4/2006, 14:56   11524 views
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